Parliamo del tema delle dipendenze con Nicoletta Cesari psicologa in forze al SERT di Melegnano.

Ciao Nicoletta, recentemente il documentario Netflix “Sanpa” e il libro “La collina” di Andrea Delogu hanno fatto tornare alla ribalta il tema delle dipendenze, volevo parlarne con te per cercare di capire quale è la situazione oggi dalle nostre parti.

Commentando la serie  vorrei prescindere, per quanto possibile, dagli aspetti più aberranti del “modello San Patrignano” per mettere in risalto che alcuni presupposti  relativi alla cura delle tossicodipendenze  a quel tempo erano largamente condivisi a livello culturale anche al di fuori di San Patrignano pur essendo privi di basi scientifiche e di veri riscontri: la convinzione che non ci fosse bisogno di figure specialistiche (medici e psicologi, per dire), l’avversione all’uso di farmaci, la forte opposizione all’uso di metadone,  l’idea che la tossicodipendenza si potesse curare solo in Comunità residenziali, che lo Stato non “facesse niente” e,  al fondo di tutto,  l’idea che la tossicodipendenza non fosse una malattia ma una sorta di “male morale” da cui discendeva la necessità non della cura ma di una sorte di “redenzione” che riconducesse sulla retta via.

Da questo punto di vista la si può vedere come un documento storico, anzi, preistorico direi, di una posizione culturale  che è stata sconfitta.

Dove sono finiti i “tossici”? Quando ero ragazzo erano una presenza costante ed erano identificati con il consumo dell’eroina che ha travolto più di una generazione, oggi sembrano spariti

E’ proprio vero che ad un certo punto è sembrato che i tossici fossero “spariti”, non se ne sono visti più a chiedere soldi, è finito l’appello quasi quotidiano  dei morti per overdose sulle panchine dei parchi.  In realtà quella è stata la prova che un sistema di cura integrato tra i Sert e le Comunità terapeutiche cominciava a funzionare e, soprattutto, è stato l’uso del Metadone che ha salvato centinaia di vite.

Anche sul metadone si è combattuta una battaglia culturale fortissima: “la droga di Stato”, come veniva chiamata. I Sert che lo somministravano erano accusati di cronicizzare la tossicodipendenza invece di guarirla, e i primi protocolli, quando ho cominciato a lavorare al Sert era ancora così,  prevedevano trattamenti brevi, a ventun giorni.  A dirlo oggi fa sorridere ma si è dovuto toccare con mano che i trattamenti brevi non servivano a niente, che l’uscita dalla tossicodipendenza richiedeva tempi lunghi,  anche di anni, che qualcuno  avrebbe assunto metadone  per tutta la vita, come un farmaco contro una qualsiasi malattia cronica, riuscendo a tornare  a lavorare, ad occuparsi della propria famiglia, a uscire da circuiti di illegalità.

Cosa è cambiato nel tempo nella struttura pubblica a supporto delle dipendenze?

Quando sono arrivata al Sert, nel 1997, si facevano ancora dei ricoveri ospedalieri finalizzati alla disintossicazione: una settimana d’ospedale e uscivi “pulito”,  senza astinenza,  che sembrava allora il vero ostacolo all’uscita dalla tossicodipendenza.  Si è visto che la dipendenza non era un fatto unicamente fisico, esisteva una dipendenza psicologica molto più complessa da affrontare, i pazienti ricadevano tutti, alcuni subito appena usciti. Da tempo ormai questa è una modalità che non si usa più.

Vorrei dire con molta chiarezza che la medicina è una scienza empirica, non una scienza esatta: con il tempo si impariamo a curare tutte le malattie con la pratica, per prove ed errori. E’ stato sempre così e quando la tossicodipendenza  è esplosa a livello di massa non se ne sapeva quasi nulla, ci sono voluti tempo e studi per capirla meglio.

Quale è oggi il profilo del “tossico”?

Il panorama attuale è molto variegato. Il “tossicodipendente moderno” è nella quasi metà dei casi un consumatore di cocaina che quasi sempre associa anche ad abuso di alcol è spesso un poliassuntore: cioè un consumatore di sostanze diverse assunte contemporaneamente o in successione. A volte chi si presenta da noi ha sviluppato una dipendenza da sostanze legali, come alcol o farmaci, oppure ha una dipendenza cosiddetta “senza sostanza” come il gioco d’azzardo.  Non è necessariamente un emarginato a livello sociale, ha un lavoro, spesso dei figli, con tutti i problemi che ne derivano e  viene al Sert anche  perché preoccupato di perdere l’uno e gli altri.

La classe d’età può essere la più varia:  da una parte c’è un avvicinamento alle sostanze che è sempre più precoce e dunque esiste una classe di pazienti minori d’età per i quali sono stati approntati percorsi ad hoc in rete con altri Servizi del territorio; d’altro canto complessivamente la rilevazione del Ministero della sanità del 2018 identifica come più frequenti le classi d’età tra i 35 e i 54 anni. 

Quindi dalle dipendenze si può guarire definitivamente o no?

La definizione dell’OMS è molto importante, intanto definisce la tossicodipendenza una malattia; ne dà una lettura “laica”  fuori dai giudizi morali, in secondo luogo ne sottolinea la tendenza a recidivare, cioè ad essere soggetta a ricadute. Questo significa che dalla dipendenza non si “guarisce” come da un’infezione o da una malattia organica qualunque ma si è sempre a rischio di ricominciare. Questo, a livello di opinione pubblica, è conosciuto ad esempio per l’alcolismo: se sei riuscito a smettere di bere non puoi bere mai più, qualsiasi assunzione, anche minima,  di alcol (“per una volta cosa vuoi che sia”) riporta di nuovo a un consumo compulsivo. Questo vale per tutte le sostanze d’abuso. Tutti noi conosciamo persone che sono riuscite a smettere di fumare, anche il tabagismo è una dipendenza, magari per anni, e poi un giorno, per i più svariati motivi, si riaccendono una sigaretta e ricominciano a fumare.

Se penso di soffrire di una qualsiasi forma di dipendenza posso recarmi liberamente alla sede del Sert di competenza per il territorio di San Giuliano? Come funziona e quanto costa il vostro aiuto?

Il Sert era ed è rimasto quel che si dice “un servizio a bassa soglia” cioè per venire al Sert basta … entrare dalla porta: non servono né appuntamento né impegnativa. In qualsiasi momento dell’orario di apertura si può chiedere di parlare con qualcuno e si verrà ascoltati, alla peggio bisognerà attendere che si liberi un operatore o uno studio. In questo primo contatto si espone il proprio bisogno, viene spiegato come funziona la presa in carico, quali sono le possibilità, si possono fare le domande che si vuole.

Ci tengo a dire che entrare e chiedere anche solo delle informazioni, vedere gli ambienti, parlare con un operatore non vincola in nessun modo. Uno può pure dire: “va bene ci penso” e uscire così come è entrato.

Se invece la presa in carico continua allora si viene assegnati ad una équipe di cui fanno parte un medico, un assistente sociale e uno psicologo  perché la tossicodipendenza è una malattia complessa e richiede un approccio complesso, poi si apre una cartella clinica, come presso qualsiasi ambulatorio,  e attraverso i primi colloqui ci si fa un’idea del problema e si conosce la persona. Solo successivamente si decidono  e condividono con il paziente i possibili percorsi terapeutici che possono essere sia ambulatoriali che prevedere un eventuale percorso comunitario.

Sottolineo che, così come per tutte le forme di cura nei paesi civili, anche nel campo della tossicodipendenza la richiesta di cura è volontaria, le modalità condivise e non imposte, la privacy tutelata.

Al Sert non si paga il ticket, la cura è gratuita così come lo sono le  rette di un’eventuale Comunità Terapeutica che sono a carico del Servizio Sanitario.

Sembra tutto molto bello ed efficiente; posso risolvere con certezza i miei problemi?

Anni fa un paziente, proprio durante il primo colloquio di accoglienza,  mi chiese in modo molto diretto: “Ma insomma voi qui funzionate? Venire qui serve? Fate qualcosa?” gli risposi in modo altrettanto diretto che per qualcuno riuscivamo a fare molto, per qualcuno a migliorare qualcosa e c’era anche qualcuno per cui riuscivamo a fare molto poco.  

L’ho detto e lo voglio ripetere:  raggiungere e mantenere l’astinenza dall’assunzione di sostanze è un cammino lungo e impegnativo, non ci sono scorciatoie né ricette miracolose che nessuno, e dico nessuno, possiede. Quello che possiamo garantire è che la presa in carico al Sert  non è “a tempo”, non ha scadenza, ci siamo finché serve.

Per orari indirizzi e numeri di telefono consulta la pagina “Servizi Territoriali per la cura delle Dipendenze Patologiche“.

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