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Ho conosciuto Virginio Bordoni nel 1993, quando mi ritrovai inserita in una rosa di nomi tra cui scegliere un assessore, dato che una nuova legge permetteva che si potessero inserire in giunta persone non elette ma nominate “dalla vita civile”.

Ero stata segnalata come altri e durante un colloquio preliminare non feci mistero di essere nuova all’ambiente e al ruolo, così pensando di chiudere il discorso ma le cose andarono diversamente.

Subito mi dette l’impressione di essere una persona rispettosa e lo ricordo soprattutto così: nei cinque anni in cui lavorammo a contatto di gomito non mi deluse mai.

Ero l’unica donna ma non mi fu mai fatto notare né tanto meno pesare; non ricordo di aver mai subito discriminazioni di nessun genere.

Rispetto significa ascoltare le persone cercando di capire bene che cosa ti vogliono dire, non solo con un’attenzione di facciata; significa tener fede alle promesse, da quelle minute a quelle grandi – sempre per quanto dipendeva da lui; significa coerenza e attendibilità.

Vorrei raccontare qualche episodio che, secondo me, lo rappresenta in modo adeguato.

Un giorno eravamo a Venezia per un convegno dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, un giovedì. Il convegno terminava circa alle 13 e io pensavo che saremmo andati a pranzo prima di ritornare a San Giuliano ma non era ciò che aveva in mente Virginio: era giorno di ricevimento del pubblico e alle 16.30 doveva assolutamente essere alla propria scrivania. Fu così che, recuperata da un autosilo l’auto del Comune – ormai erano circa le 14- si fiondò in autostrada e alle 16.30 eravamo nei rispettivi uffici, digiuni ma puntuali.

Un’altra volta, passando davanti alla porta aperta del suo ufficio, lo vidi assorto con la penna in mano (allora si usavano ancora le penne) mentre cercava di scrivere qualcosa. Gli chiesi se avesse bisogno e mi rispose che stava cercando di scrivere un discorso funebre per la tristissima morte in un incidente d’auto di due giovanissimi, fratello e sorella; da padre, non trovava parole adeguate per parlare al cuore di quella famiglia così provata, anche perché non conosceva i ragazzi. Caso volle che il ragazzo fosse un caro amico dei miei figli, così potei parlargli di lui e delle sue grandi capacità, non comuni in una persona tanto giovane.

Virginio riuscì a cogliere tanto bene le sue qualità che sembrava lo avesse conosciuto da vicino, dimostrando capacità empatica e umanità con parole davvero toccanti.

Virginio dava l’impressione di pretendere il massimo da se stesso ma niente dagli altri; permetteva che ciascuno di noi assessori si assumesse la responsabilità delle proprie azioni e dei propri errori senza prendere niente sul personale: queste mi sono sempre sembrate qualità da leader.

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