La bicicletta come strumento di emancipazione femminile

Lascia che ti dica cosa penso della bicicletta. Penso che abbia fatto per l’emancipazione femminile più di ogni altra cosa al mondo. Dà alle donne una sensazione di indipendenza e di fiducia in loro stesse. Gioisco ogni volta che vedo una donna in bicicletta…è l’immagine della femminilità libera e priva di ostacoli.

Susan B. Anthony

C’è un agile libretto, pubblicato dalla Casa Editrice Capovolte (di cui consiglio un’occhiata al catalogo, interessante e con titoli che vanno “in direzione ostinata e contraria”) che nessuna donna dovrebbe fare a meno di leggere e forse nemmeno nessun uomo.  L’autrice, Manuela Mellini, editor, ghostwriter, enigmista e scrittrice, che ho avuto il piacere di conoscere in un incontro online che ho moderato per l’associazione Toponomastica femminile insieme alle attiviste di Femministe col ciclo, è una vera amante della bicicletta, che non abbandona quasi mai nei suoi percorsi tra Berlino e Milano e che «pedala ovunque capiti». Sarà stato un caso ma, essendo nata in un Paese della provincia romagnola che si chiama Alfonsine, nel suo libro non ha potuto fare a meno di approfondire a lungo la figura di quella persona speciale che fu Alfonsina Strada, la prima donna che partecipò al Giro d’Italia nel 1924 e a cui abbiamo dedicato la pista ciclabile che va da Melegnano a Cerro al Lambro. L’autrice lo fa descrivendone le imprese con uno sguardo amorevole e ammirato, senza tacere tutte le difficoltà e gli ostacoli che questa donna straordinaria ha dovuto affrontare nella sua vita. Ma anche le staffette partigiane che della bicicletta non potevano fare a meno occupano una posizione di riguardo all’interno del suo libro, nel capitolo Biciclette resistenti. La prefazione a questa dichiarazione d’amore per la bicicletta è di Paola Gianotti che, per chi ancora non lo sapesse, ha infranto 4 Guinness World Record, tra cui quello di donna più veloce al mondo a circumnavigare il globo in bici.  La parte del libro intitolata Gli inizi racconta la storia della bicicletta, alternativamente chiamata “spaccaossa”, “macchina”, “cavallo di legno”, velociclo”. Come si può immaginare, se all’inizio la bicicletta è guardata con sospetto quando è usata da uomini, alle donne è vietata (non stupitevi, anche oggi qualcuno continua a pensarla così, anche in Italia).

 «La donna in bicicletta è un pericolo, per sé e per gli altri». Cominciano ad affermarsi strane convinzioni, diffuse ad arte, secondo le quali la bicicletta avrebbe effetti nefasti sulla salute femminile: sincopi, palpitazioni irregolari, preoccupanti perdite di peso, tisi, e morti improvvise. Per non parlare delle conseguenze sull’apparato genitale, quello che più importa a chi le sposa per assicurare la prosecuzione della specie: l’impossibilità di procreare, missione per cui la donna, secondo il pensiero unico maschile dominante, sarebbe stata messa al mondo da Dio. La posizione a gambe aperte che si assume pedalando è scandalosa: unita allo sfregamento sulla sella provocherebbe nella ciclista «soddisfacimenti genitali e sensazioni voluttuose, assolutamente da evitare». A parte la scarsa conoscenza del corpo femminile di chi sostiene simili stupidaggini, anche l’uso dei pantaloni, assolutamente indispensabili per potere andare in bicicletta, riceve lo stigma della società pensata e costruita secondo il pensiero unico maschile dominante. «Sfacciata, impudente, provocatrice: la donna scostumata se la va a cercare». Alla fine dell’Ottocento andare in bicicletta da sola significa sentirsi dare della sgualdrina o vedersi arrivare addosso degli oggetti.  Molto istruttivo il capitolo sulle Pioniere che ci dimostra come la storia della bicicletta al femminile sia soprattutto una storia di azioni di rottura, attraverso le quali alcune donne (intraprendenti, spregiudicate, determinate, entusiaste, disperate) riescono a resistere a stereotipi e pregiudizi e a realizzare le proprie ambizioni. Alcuni nomi su tutte: Vittoria, la Regina del Regno Unito, Margherita di Savoia, Sarah Bernhardt, che pedala per gli Champs Élisées, Lina Cavalieri, Marie Curie, che farà il viaggio di nozze in bicicletta insieme al marito Pierre, Ernestina Prola, Emma Strada, Adelina Vigo, fioraia milanese che conquista anche importanti vittorie e Alessandrina Maffi di Monza, «biciclettista di ferro.»

Una storia bellissima che Mellini racconta è quella di Annie Kopchovsky, per tutti Annie Londonderry, che parte sola in bicicletta per fare un giro intorno al mondo. Il capitolo Il traguardo del professionismo è invece l’occasione per riflettere ancora una volta sulla misoginia che attraverso la nostra società e su come siano sottovalutate le cicliste italiane. Un omaggio a Maria Canins qui non poteva mancare.

Il libro di Manuela Mellini riesce a dimostrare, come fa il titolo di un capitolo del suo libro, che La bici è rivoluzione perché, come dice Alessandro Tursi, Presidente Fiab, intervistato dall’autrice «la bici non è solo un oggetto, ma una visione del mondo». In questa parte del libro incontriamo gli attivisti e le attiviste della bicicletta, tra cui le Femministe col ciclo, un gruppo di donne, nato prima in rete e poi uscito ad occupare con i corpi femminili le strade in bicicletta. Di giorno e di notte, perché è un diritto di tutte e di tutti poter pedalare quando si vuole in sicurezza. Le femministe col ciclo vogliono contrastare l’aggressività maschilista e sessista su internet e nella società e si oppongono all’idea di dover sopportare, ogni volta che usano la bicicletta, apprezzamenti non richiesti e catcalling e di sentirsi pure dire, quando protestano: «E fattela ‘na risata». Il libro racconta delle pedalate delle femministe col ciclo per protestare contro le disuguaglianze salariali di genere, la tampon tax, la violenza ostetrica, i licenziamenti per maternità, contro la Rai per l’immagine della donna oggetto che veicola, per il modo in cui racconta i femminicidi e la violenza sulle donne quasi giustificandoli. E nel capitolo finale ci presenta associazioni, riviste, blog e persone che diffondono la cultura della bicicletta come mezzo per cambiare il mondo: Mariateresa Montaruli, che ha creato il blog Ladradibiciclette, le Cicliste per caso che hanno pedalato sulle orme di Alfonsina Strada incontrando gruppi che si battono contro la violenza sulle donne e recentemente hanno intrapreso un viaggio ancora più impegnativo, gli esponenti di World Bycicle Relief che, nelle aree rurali di alcuni Stati africani, in Sri Lanka e nelle Filippine si attivano per diffondere l’uso della bicicletta fra le popolazioni più povere e isolate nell’ottica di migliorare le loro condizioni di vita, «Grazie alle due ruote» scrive Mellini riportando le parole di Tursi «le donne possono raggiungere villaggi, pozzi e altri servizi, e magari avviare  piccole attività che producono reddito; contadini e allevatori riescono a  vendere i loro prodotti in un numero maggiore di mercati, incrementando i loro guadagni; medici e ostetriche si muovono più velocemente tra villaggi e ospedali, per soccorrere eventuali pazienti o trasportare medicinali; le bambine non devono più lasciare la scuola perché non riescono a raggiungerla, o perché per farlo dovrebbero camminare per chilometri da sole nella savana, con tutti i rischi che questo può comportare.» Tra i tanti siti e blog ricordati dall’autrice BikeItalia.it è un blog il cui motto è «Trasformiamo l’Italia in un paese ciclabile», che racconta una storia bellissima di donne che partecipano al FancyWomen Bike Ride, organizzato a Smirne dalla moglie dell’ideatore del blog, Pinar Pinzuti. Nell’intervista a questi due attivisti emerge un fatto incontestabile: in bici è più facile notare ciò che non va nelle nostre città: la fragilità delle infrastrutture, l’assenza di segnaletica stradale o di illuminazione e viene voglia di attivarsi per migliorare e proteggere le città in cui viviamo. La bici quindi è ispiratrice di azioni di cittadinanza attiva. In auto la velocità e la chiusura nell’abitacolo non lo consentono. Il FWBR è una manifestazione di biciclette colorate su cui le donne si muovono lentamente per le vie del centro chiuse al traffico. Questa manifestazione vuole che le donne si riprendano le strade e possano viverle in sicurezza, che siano visibili in quanto donne, che abbiano accesso illimitato agli spazi urbani, promuovano la mobilità attiva, possano praticare uno stile di vita sano e sostenibile, con meno auto e inquinamento, più verde e più spazi pubblici, per portare ovunque la loro sorellanza, crescendo nel rispetto e nella cura di tutte le altre.

Il libro di Manuela Mellini è una lettura godibile e istruttiva, con approfondimenti in piccoli box pieni di curiosità. Si legge in fretta e vi si respira tutta la passione per le due ruote di questa scrittrice, a cui piace pedalare ovunque, anche nel cuore della notte, tornando a casa. Come scrive nell’introduzione, questo libro è «un omaggio e un ringraziamento alle donne che per la bicicletta, e con la bicicletta, hanno dovuto lottare per decenni (in guerra, nella società, nello sport) e lo fanno ancora oggi. Perché, nella battaglia per l’emancipazione, l’autodeterminazione e la libertà, individuale e collettiva, non c’è alleata migliore»

Manuela Mellini

La strada si conquista. Donne, biciclette e rivoluzioni, Casa Editrice Capovolte, 2021

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