La Comunità pastorale cittadina: una opportunità da costruire all’interno della nostra Città

In questi giorni ha preso il via in maniera ufficiale la “Comunità pastorale cittadina” di San Giuliano Milanese che ha preso il nome di “San Paolo VI”. Per una decisione presa dalla Curia milanese, 6 delle 7 parrocchie presenti nel Comune di San Giuliano si uniscono in una sola grande entità (una sorta di grande parrocchia) con a capo un solo parroco.

Avrebbe potuto essere un’occasione di riflessione per ripensare la presenza e il ruolo delle comunità parrocchiali nella nostra città, purtroppo invece il percorso della sua costruzione ha avuto caratteristiche più burocratico-amministrative (non a caso l’enfasi su decreti, atti notarili ecclesiastici, disposizioni, nomine, etc.) che pastorali, e il rischio di una “fusione fredda” guidata da una visione verticistica ed accentratrice è dietro l’angolo.

E il tutto con conseguenze negative non solo sulle comunità ma sulla città intera, essendo il tessuto delle parrocchie, insieme all’associazionismo e alla politica, uno dei tre poli della vita sociale sangiulianese.

Confidando che, come spesso succede nella vita della Chiesa , gli errori degli uomini vengano corretti da una guida più alta (che per i cristiani si chiama Spirito), sembra utile e opportuno fare tutti gli auguri possibili a questo nuovo percorso della Chiesa sangiulianese, dando qualche piccolo contributo di suggerimenti.

Il primo è l’attenzione alla città (non a caso la comunità cittadina nasce proprio perché c’è una città). L’impressione è che nella preparazione di questo percorso sia mancata San Giuliano, con i suoi problemi e le sue peculiarità, le sue miserie e le sue virtù. Il giorno stesso della ufficialità della “Comunità pastorale” don Chino dava sui giornali l’allarme sulla diffusione della droga tra i giovanissimi, con il progressivo spostarsi dei disperati del “Bosco di Rogoredo” verso la periferia e quindi anche verso San Giuliano. Inoltre i problemi del disadattamento giovanile, della carenza del lavoro, della piaga del gioco d’azzardo: siamo uno dei comuni in prima linea nel tentativo di evadere dalla disperazione cercando una soluzione facile nel gioco. E si potrebbe proseguire con il problema delle giovani coppie nel trovare casa, con i problemi dei divorziati, della solitudine di tanti anziani, etc.: questa è la città “vera” attorno alla quale si deve costruire una Comunità Cristiana.

Da ciò deriva anche il secondo suggerimento. Le 6 parrocchie presenti sul territorio rappresentavano sensibilità e ricchezza, storia vissuta ed esperienze di decenni, legate all’incarnazione della Chiesa in quegli specifici territori. Azzerare tutto questo per riportare a una sola grande “organizzazione” sembra seguire più le logiche aziendali frequenti di questi tempi (al posto di 6 aziende ne tengo in piedi una sola, ché così risparmio e controllo meglio) che pastorali e cristiane. L’unità di tante diversità è una ricchezza solo se le diversità vengono valorizzare e non appiattite attorno a un disegno unico.

Ma tutto questo porta al terzo suggerimento: bisogna avere coraggio. Il concetto di “Chiesa in uscita” tanto caro a Papa Francesco, significa non avere paura a prendere posizioni forti e in controtendenza. Tante sono state le occasioni in questo periodo in cui i vertici della Chiesa cittadina avrebbero potuto fare sentire la propria voce: difendendo Papa Francesco quando veniva attaccato dai suoi oppositori per le sue dichiarazioni, ma anche sulla problematica dell’immigrazione (che vede San Giuliano pesantemente coinvolta), sulla ostentazione pubblica dei simboli religiosi a fini politici, o sulle questioni ambientalistiche (abbiamo una enciclica su questo argomento totalmente sconosciuta). Ma su questi temi si è preferito il silenzio o il dire qualcosa con il chiaro obiettivo di non sbilanciarsi troppo. “Dite sì se è sì e no se è no”: se non c’è il coraggio di una testimonianza, se la fede non sa tradursi nella vita di ogni giorno, come potranno le parole del Vangelo diventare parole di vita eterna?

Da qui il quarto suggerimento: il ruolo dei laici. La Comunità pastorale cittadina nasce da un percorso guidato da preti, suore e diaconi riuniti in un “Diaconia”. Quando riusciremo a capire che la Chiesa è composta da laici e consacrati che, se pur con ruoli e compiti diversi, hanno pari

dignità al suo interno? La presenza dei laici non deve essere finalizzata solo a dare un supporto materiale ai sacerdoti o alla parrocchia (pur essendo questo un servizio importante) ma deve avere una sua peculiarità riconosciuta e valorizzata in termini di partecipazione attiva e propositiva.

Anche le prossime elezioni dei laici del Consiglio Pastorale saranno un test in questa direzione, con la speranza che possano entravi persone capaci di essere veri protagonisti e interpreti di tutte le sensibilità, senza timori reverenziali.

Legato a questo, l’ultimo suggerimento: saper ascoltare e accettare il confronto. E’ facile circondarsi di chi ci dà sempre ragione ed etichettare come “rompiscatole” chi non la pensa come noi, apprezzando solo quelli che sono eco o cassa di risonanza dei nostri stessi pensieri. Gesù, fortunatamente, non si circondava solo di quelli che erano dalla sua parte, ma cercava il confronto proprio con chi non la pensava come lui (scribi e farisei, peccatori). Non a caso lo slogan della festa cittadina “incontri che trasformano” va proprio in questa direzione. Quante occasioni “vere” di confronto ci sono state in città per questo percorso di costruzione della Comunità pastorale cittadina”? O forse sarebbe meglio dire, quanto ha coinvolto veramente le comunità e i singoli cristiani il percorso che è stato disegnato?

Ma è tempo di concludere con una considerazione finale.
La Chiesa sangiulianese ha saputo essere, dal dopoguerra, un punto di riferimento per la città anche grazie alla guida di Pastori illuminati, che hanno saputo intercettare e interpretare i “segni del tempo”, non nascondendosi di fronte ai problemi, ma cercando di anticipare le soluzioni. Basti pensare a quanto è stato fatto: prima di tutto creando una comunità cristiana fatta di gente proveniente da ogni parte d’Italia, e poi costruendo le nuove chiese, gli oratori, i luoghi di preghiera e di intrattenimento, ma anche iniziative per il lavoro (Cooperativa), per l’educazione (scuola), per la carità (Caritas). Il tutto interpretando il ruolo (Parroco – Prevosto) con l’urgenza del servizio alla propria comunità.
Le parrocchie sono una presenza viva e reale con i diversi gruppi, le associazioni, la concretezza indispensabile e unica dei volontari della Caritas, etc. Un insieme di persone verso le quali penso sia necessaria – da parte dei vertici della Chiesa locale – un’attenzione particolare per far sì che tutto questo patrimonio costruito in decenni non venga vanificato, ma valorizzato.
Qui non è in gioco qualche muro pericolante o qualche rendiconto, ma la Speranza per il Futuro di tutti noi.

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