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La sicurezza non è una questione partitica

Dopo il varo del 27 novembre 2018 – tutto a colpi di fiducia, sia al Senato che alla Camera – il Disegno di Legge 840/2018, chiamato da tutti “decreto sicurezza” è diventato legge, col voto  a favore di Lega e Movimento 5 stelle, Forza Italia e Fratelli d’Italia; col voto contrario di Partito democratico, Liberi e uguali e alcuni deputati cinquestelle.

Gli effetti, come per ogni legge che tocca vari ambiti, si noteranno soltanto a mesi di distanza, né sono tardate ad arrivare le prime dichiarazioni sulle criticità di tale legge. Le discussioni non sono mancate e non mancano nelle Camere e negli ambienti partitici, ma la questione su cui forse ci si può soffermare è che le prime vere reazioni a questo decreto sono arrivate dagli ambienti cattolici. Perché la questione non è più partitica, ma è quanto mai politica – ed è bene riappropriarci della distinzione tra questi due termini che non sono per niente uno sinonimo dell’altro. A mio avviso, i punti più critici sono sul tema dell’accoglienza: l’abolizione della protezione umanitaria e la restrizione del sistema di accoglienza provocheranno – e stanno già provocando – uno scenario di confusione tale da lasciare per strada centinaia di persone che prima venivano accolte negli SPRAR.

Dicevamo degli ambienti cattolici: don Gino Rigoldi ci racconta questa storia di Mehdi, che si è visto rifiutare la richiesta per ottenere la residenza diventando, ormai, irregolare. Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano, ha voluto prendere posizione, in cui fondamentalmente si dice favorevole a una disobbedienza in favore dei diritti umanitari guidati dal principio “prima le persone”. È ovvio che la strumentalizzazione di tali dichiarazioni è dietro l’angolo e – se possibile – si corre il rischio di andare ulteriormente a rafforzare la posizione di chi sta cavalcando a livello partitico l’onda del “pugno di ferro”.

Anche alcuni sindaci, di comuni più o meno grandi, hanno preso posizione: c’è chi invita alla disobbedienza e chi, invece, rivendica con orgoglio la messa in atto del decreto, probabilmente incappando – entrambe le fazioni – nella strumentalizzazione fine a se stessa.

Vorrei invitare tutti a una riflessione: don Colmegna ci invita più che a una disobbedienza al decreto, ad avere gli strumenti necessari per capire da noi stessi quali siano i limiti tra il giusto e la giustizia – ed è un campo di riflessione buono per tutti, atei e credenti, laici e religiosi. E allora mi chiedo quali siano i diritti imprescindibili oltre i quali sarebbe disumano andare; mi chiedo a quanto ci si possa spingere nella retorica partitica.

Una cosa credo sia certa: la sicurezza è un tema che non può semplicemente tradursi in scontro e conflitto. Lo dobbiamo soprattutto a noi e alla nostra storia di migranti.

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