Foto dI Luca Orlandi

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Le mura e la paura

La costruzione delle mura (o forse sarebbe più opportuno dire dei muraglioni) ha sempre caratterizzato la storia della nostra umanità come la volontà di difendersi da qualcuno, fosse anche solo dalle nostre paure.

La loro costruzione ha spesso coinciso con l’inizio di periodi bui di “decadenza” dopo periodi di ricchezza culturale ed economica: si creava il bisogno di difendersi da coloro che volevano condividerla.

E a questo riguardo la Storia ci insegna: dal Vallo Adriano in Inghilterra, costruito dai Romani nel II secolo d.C. alla fine della loro espansione per difendersi dai popoli del nord, alla Grande Muraglia cinese costruita nel secondo secolo a.C. per difendersi dalle incursioni dei popoli mongoli.

Quindi nulla di nuovo sotto il sole se – 2000 anni dopo – un mediocre Presidente americano vuole costruire una muraglia per difendere gli Stati Uniti dalle invasioni dei popoli dell’America latina. Idea anch’essa frutto di un periodo di decadenza della cultura occidentale, capace di portare la globalizzazione dei consumi, ma non quella del progresso per tutti. Un’opera del costo di 5,7 miliardi di dollari, molto più del PIL di tanti paesi latinoamericani o africani. Una follia, se pensiamo che servirà a ben poco: forse solo come strumento per cercare un facile consenso elettorale sfruttando la paura di tanti cittadini statunitensi (anche qui nulla di nuovo sotto il sole).

La voglia di costruire muri o, per dirla meglio in salsa nostrana, di chiudere i porti, sembra diventato uno dei principali, se non il principale strumento per acquisire facile consenso utilizzando un sentimento legittimo (la preoccupazione per il nuovo) caricandolo di caratteristiche negative. Il ripiegarsi su se stessi, altra caratteristica delle società e delle culture in decadenza, ci impedisce di dare risposte concrete ai problemi di oggi, che si chiamano lavoro, solitudine, povertà materiale e culturale.  Sembra che la soluzione di tutto stia nell’utilizzare qualche decina di donne e bambini in mezzo al mare per vantarsene in dirette televisive e facebook.

Il muro non solo è uno strumento di difesa, ma anche di divisione. Ne sanno qualcosa i berlinesi del dopo Seconda Guerra mondiale (anche qui parliamo di anni bui) quando il muro non ha separato solo popoli o nazioni, ma anche componenti di una stessa famiglia. E quanti muri come quello di Berlino esistono ancora? Basti pensare a quello che divide in due la Corea o a quello di Cipro fra le due comunità turca e greco cipriota. Fortunatamente il coraggio degli uomini e la forza degli ideali hanno permesso di abbattere alcuni muri (Berlino)  e di “sterilizzarne” altri (Corea e Cipro), ma è significativo che nuovi muri vengano reclamati dalla prima generazione che non ha conosciuto la miseria e la sofferenza della guerra. L’apparente eclissi dei valori e degli ideali (libertà, democrazia, Europa) che avevano contribuito alla fine dei conflitti lascia sempre più spazio a una cultura in cui la paura trova terreno fertile nella progressiva ignoranza e nell’imbarbarimento culturale

Le grandi città avevano mura per proteggersi dai nemici. Però sappiamo che erano caratterizzate anche da varchi – le famose “Porte” (a Milano ne sappiamo qualcosa) – che rappresentavano il luogo di vita, di scambio, di ricchezza, di conoscenza, di socialità delle città. Senza queste vie di connessione la città sarebbe stata morta e asfittica; anzi, intorno alle “Porte” si sono sempre creati i quartieri e le zone più vive della città stessa.

La Storia ci insegna molto sulla cultura dei “muri”: dietro la facile rassicurazione, sono capaci solo di alimentare quell’aria di “stantio” che purtroppo stiamo respirando da qualche mese nella nostra Italia, senza che si riesca a vedere all’orizzonte un segnale di speranza e soprattutto di fiducia.

La nostra Italia, un popolo di poeti e di navigatori: navigatori capaci di affrontare i “muri d’acqua” per scoprire cosa c’è oltre l’orizzonte, senza paura del nuovo; e poeti capaci di guardare “oltre il muro” per descrivere un mondo fatto di relazioni e sentimenti. Ecco, forse in questi tempi sarebbe sufficiente ricordare e recuperare quello che siamo!

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