Un sogno durato 30 anni

Nei giorni scorsi ho fatto una chiacchierata con Sergio Farci, libraio indipendente in San Giuliano Milanese. A tutti è nota la decisione sua e delle sue socie di chiudere l’attività e la curiosità di conoscerne i motivi e le prospettive future è molta. La mattina della nostra chiacchierata mi avvicino alla libreria piano, osservandola attentamente, fuori dalla libreria ci sono le offerte, libri ad 1 euro, all’interno le offerte continuano, si respira l’aria di chiusura, nonostante tutti siano indaffarati come in un alveare.

Al mio arrivo, Sergio agguanta un tavolo ripiegabile lo apre, due sedie, siamo pronti l’uno di fronte all’altra, la conversazione la registro perché voglio prestare la massima attenzione alle sue parole.

La prima domanda è d’obbligo.

D. Quando hai aperto?

R. In forma societaria diversa abbiamo aperto nel 1989, sono quindi esatti 30 anni di attività

D. Cosa ti ha spinto ad aprire?

R. La cosa è stata occasionale, l’innamoramento invece è stato progressivo. Era presente in noi una curiosità, quella di avere un’opportunità di lavoro da realizzare, l’abbiamo afferrata per le corna e realizzata, imparando giorno per giorno

D. La società attorno a te è cambiata e questo posto, com’è cambiato?

R. Ho l’abitudine di vedere le cose non a comparti ma complessivamente. Le cose stanno cambiando, questo quartiere si sta modificando radicalmente non so fino a che punto questa modifica migliori la qualità della vita delle persone. Sempre più attività commerciali stanno chiudendo e mi sembra che manchi l’anima che era data da un negozio di quartiere, un oratorio, una casa del popolo un’ associazione culturale. Oggi gli acquisti che vengono fatti hanno come premessa sempre solo il quanto costa e non il quanto mi serve. Ci si ritrova a comprare solo perché costa poco, senza interrogarsi sulla qualità o sulla reale necessità di un certo prodotto. Tieni presente che dico questo perché questo quartiere è quello di San Giuliano più servito dove sono presenti tutte le tipologie di negozi e di servizi. Un cittadino dal quartiere potrebbe anche non muoversi, ci sono tutte le scuole dell’obbligo all’interno del quartiere, la scuola media fa un servizio molto allargato, offrendo anche corsi d’italiano per stranieri, il recupero delle scuole medie, le cosiddette 150 ore e corsi di vario tipo e natura. Questo è un quartiere “completo” che però si sta snaturando ma in modo diverso rispetto a San Giuliano. Abbiamo un parco molto carino e funzionante, una delle più belle feste di San Giuliano che non so quanta vita possa ancora avere, un comitato di quartiere che non so quanto andrà avanti ma tutto questo fa parte di quel processo di trasformazione sociale al quale accennavo prima.

D. Che tipo di lettori hanno frequentato e frequentano la libreria, hai notato un cambiamento?

R. Sì, un cambiamento radicale, noi siamo partiti avendo a che fare mano a mano con tutte le tipologie di cittadini con le loro necessità di acquisire proposte letterarie e siamo diventati per un bel periodo il punto di riferimento per tanti bambini e ragazzi. Per molti anni i sabati qui abbiamo fatto animazione e siamo stati costretti a trasformarci in pifferai magici e ad uscire dalla libreria perché non c’era posto a sufficienza per fare le attività all’interno, molte cose le abbiamo fatte nel parco. Da questi pomeriggi è nato un meraviglioso personaggio, il Topo Buk che sfrattato dalla copertura del Redefossi, ha trovato casa nel seminterrato della libreria. Abbiamo editato un libro con le sue storie e per anni lui è stato l’animatore non solo nei sabati in libreria ma anche durante la festa di quartiere. Abbiamo rappresentato le sue storie con la Piccola Compagnia Teatrale del Topo Buk in alcune scuole ed anche in altri piccoli comuni nelle feste di piazza.

Si è molto modificata la tipologia dei lettori, per tutta una certa fase, sia nella campagna estiva che natalizia siamo stati molto attenti perché la richiesta del pubblico era quella di coprire trasversalmente tutti i generi, dalla narrativa al saggio, dal libro di ricerca al manuale per soddisfare le curiosità più disparate. Con i ragazzi siamo stati ancora più attenti, penso di poter dire, senza tema di smentita, che per molti anni abbiamo avuto uno dei migliori cataloghi di libri per ragazzi rispetto alla concorrenza sul territorio, intanto ci riforniamo direttamente noi, per anni siamo andati a Bologna, a Berlino, alle fiere di settore. Tutto con spirito critico, perché nell’editoria per ragazzi c’è stata una grande modifica, sappiamo che in Italia molti autori e soprattutto illustratori vengono mortificati e nelle grandi manifestazioni che proponevano l’editoria per ragazzi, venivano sottovalutati e le stesse case editrice italiane compravano prodotti stranieri di qualità inferiore facendoli tradurre e addirittura facendoli stampare in Cina proponendo spesso prodotti di peggiore qualità rispetto a quella degli italiani. Abbiamo visto negli anni un modificarsi graduale perché sempre più il cittadino è stato portato a soddisfare il proprio bisogno culturale o facendosi consigliare dalla pubblicità o dalla rete. Mentre prima il lettore veniva a curiosare in libreria, prendeva il libro, leggeva un capitolo, leggeva la quarta di copertina, conversava con noi, oppure aveva capacità di scelta non indifferente e poi faceva i suoi acquisti. Adesso non è più così, adesso si compra su indicazione per esempio della rete che il più delle volte fa un sunto della quarta di copertina per cui la curiosità, il mettersi a confronto con il libraio non è più interessante. La cosa più vergognosa che può succedere è quando un cittadino viene e vuole regalare un libro ad un proprio caro o amico, cerca l’ultimo libro uscito anche quando questo ultimo libro uscito non c’entra niente con la persona alla quale è destinato e questo è un classico, se poi costa meno anche meglio.

D. Qui veniamo ad un’altra nota dolente e parliamo un po’ più del globale: la grande distribuzione ha modificato moltissimo gli acquisti proponendo una scontistica che i negozio di vicinato non possono offrire. Scelta scellerata che non ha tenuto conto del valore sociale dei negozi di vicinato e delle librerie in particolare?

R. L’aspetto economico è vero solo in parte, sono sempre stato disponibile a sfidare la grande distribuzione per quanto riguarda la qualità e la professionalità e lì, sono particolarmente convinto che ne usciamo vincenti. L’aspetto più grave che non ha giustificazione di sorta, è che la crescita culturale, la crescita relazionale, la crescita di concetto di comunità, vive di pari passo con un concetto di sviluppo urbanistico che deve tenere conto degli aspetti sociali e culturali. Questo aspetto urbanistico è quello che ha deteriorato tutto, cioè il fatto che una città non viva più del suo, non abbia relazioni, non abbia isole pedonali, non abbia piazze, è l’elemento fondamentale. Una libreria ma anche qualsiasi altra tipologia di attività commerciale non è solo la risposta ad un fabbisogno, ma la risposta ad un fabbisogno relazionale ed è anche la maniera di riempire di qualità il tuo tempo. Quando tu in un luogo ci devi andare solo per un acquisto, hai soddisfatto questo aspetto e vieni via, ma l’essere umano ha bisogno anche di altro, anche quando vai in una biblioteca per prendere un libro o ti presentano uno spettacolo, tu hai bisogno anche di un posto di interscambio, di relazione, di attività sociale, hai bisogno di un luogo dove identificarti come soggetto, se tu questo non ce l’hai vai in un luogo come vai in farmacia dove hai un percorso obbligato. Se questo cocktail viene costruito è molto difficile da fronteggiare ma se almeno il concetto di vivibilità urbana viene salvaguardato in funzione del cittadino, un’attività commerciale può anche rischiare di funzionare.

D. Sergio perchè avete maturato la decisione di chiudere?

R. Noi, ad onor del vero, non stiamo chiudendo per problemi economici, siamo stati per anni un’anomalia riconosciuta anche dall’associazone dei librai indipendenti, in anni di crisi e chiusure di tante librerie su Milano, noi a San Giuliano al quartiere Serenella chiudiamo senza tensioni economiche. La ragione per cui chiudiamo è che io sono “molto grande” di età, mia moglie poco meno di me lavoriamo da quando abbiamo 15 anni e vogliamo dedicarci ad altro, la nostra socia ha un progetto di vita diverso e vuole concretizzare un sogno che la porta ad andare altrove. In quest’anno abbiamo tentato di far sì che la libreria avesse un altro timone, ma non siamo riusciti a sviluppare l’interesse giusto. Con un po’ di mortificazione ci siamo resi conto che la gente è alla ricerca di un piatto servito, un tappeto già steso, piuttosto che lavorare per un desiderio, per un sogno o per un progetto da realizzare. Sono tutti nella fase della resa, nella fase del mi devono servire tutto su un piatto già pronto. Non voglio usare il termine sacrificio ma l’idea è quella che non ci sia il concetto di dovere, altrimenti diventiamo tutti potenziali percettori di reddito di cittadinanza e finisce lì. Tutto ciò che viene proposto di fatto è vecchio, non c’è voglia di innovare, di pensare in maniera diversa, tutto è stantio, così come per certi versi lo è anche la politica e la burocrazia intorno alla politica, chi fa i servizi la gratificazione non la cerca mai, del suo non ce lo mette, quando ci sono delle responsabilità vanno delegate a qualcun altro, così come la politica non progetta e fa il ragioniere, fa la politica dei soldi, l’idea in se di progetto e di ideare non esiste da nessuna parte ed ecco perché viene a mancare la ricerca dell’autogratificazione, che io considero un elemento fondamentale. Se io dovessi paragonare il lavoro che noi abbiamo fatto qua in termini di tempo è almeno il doppio di un qualsiasi lavoratore, dal punto di vista della gratificazione almeno dieci, cento volte tanto ma non è detto che il lavoratore nella burocrazia statale non possa trovare strumenti o ambiti per gratificarsi, tra l’altro facendo anche bene il proprio lavoro.

D. Hai lavorato molto con i bambini e i ragazzi, la scolastica ha avuto una grande importanza nel tuo lavoro, come sono cambiati i ragazzi?

R. Era una cosa meravigliosa, come dire, pensare che la scuola e la didattica in generale creassero il presupposto alla curiosità e alla ricerca e quando realizzavi questi presupposti eri felice e allora il bambino era un bambino gratificato. Oggi intanto c’è in parte scoramento, in parte questa mortificazione del corpo docente e in parte la passività dello stesso corpo docente, anche nella scuola si è creato il presupposto del tiro a campare. In generale nella scuola e negli ambiti dove ti occupi di cultura e di rapporti, la gratificazione va cercata. In quella fase è stato possibile costruire una generazione di ragazzi che avevano gli occhi sgranati per digerire, per rubare il mondo e questa era la cosa più bella. Adesso, giustificati anche dalle giovani famiglie, i bambini non hanno più quella curiosità, devono solo raggiungere quel risultato, copia incolla per una ricerca, ipercriticismo sul corpo docente ed addirittura catalogare la scuola come se fosse uno strumento per l’avvenire. Una scuola che non crea più i presupposti di voglia di crescere, che non stimola. La scuola si trova a dover sostituire la famiglia e non è il suo compito, un insegnante non deve educare, un insegnante deve creare il presupposto perché il ragazzino conosca e recepisca trasversalmente gli stimoli. L’educazione deve dargliela la famiglia e questa oggi delega alla scuola cose e competenze che non sono le sue. Per cui hai proprio quasi pedagocicamente una generazione totalmente diversa con un rapporto diverso con i libri, con la cultura. Andavo nelle scuole a fare delle letture, facevamo qui dentro le visite guidate con le scuole in collaborazione con il corpo deocente. C’erano dei banchi con il libri e preparavamo delle letture a seconda delle classi, provocavamo la discussione, adesso i bambini vengono portati al centro commerciale e nella piazzetta all’interno del centro commerciale vengono fatte delle rappresentazioni. Questo viaggia di pari passo con il fatto che non abbiamo più luoghi di aggregazione, non c’è più il teatro, lo spazio è diventato il centro commerciale. Alla fine ci sarà il Topo Buk di turno, personaggio riemepito di gomma coloratissima che farà il buffone intrepretando questo personaggio; i bambini si scatenereanno, compreranno la merendina e torneranno a casa contenti. Se tu oggi riproponi il rapporto fra scuola e e territorio che è stata una parola d’ordine negli anni ‘70 (del secolo scorso n.d.R.) non è più possibile realizzarlo, se ne parli al corpo docente, alla burocrazia ed ai genitori non capiscono l’utilità della cosa mentre i bambini sono pronti a capire. Capitava per esempio con i maturandi che proprio in questo periodo dell’anno preparavano tesine o comunque gli argomenti per gli esami, venissero a farmi delle interviste sul nostro territorio, il mio consiglio al termine delle chiacchierate con i ragazzi era sempre quello di comprare più di un quotidiano di diverso orientamenteo di leggerli e di farsi poi la propria opinione, cosa che ora non si ripropone nemmeno lontanamente. Il concetto delle cose passate è interessante nella misura in cui si sostituisce con cose nuove, il dramma è che oggi si sostituiscono le cose con il niente. Cioè, se Libropoli chiude, il bello sarebbe che venisse sostituita con qualcos’altro, una cosa più bella, più interessante di Libropoli , se un’associazione culturale chiude sarebbe bello venisse sostituita da un’altra associazione, se una piazza viene ristrutturata non può essere ristrutturata per metterci le macchine, dovrebbe essere il contrario. Se lo sviluppo commerciale porta alla desertificazione del paese è un problema. La politica è troppo disattenta e spesso è più pronta a demonizzare quanto fatto precedentemente mancando di capacità di proposta. San Giuliano ha perso, per incapacità della politica, quasi tutta la sua struttura sociale e questo è un fatto grave. Tutto viaggia a comparti, non si prendono in considerazione tutti insieme ma sempre singolarmente. La politica non sa chi fa cosa, i luoghi pubblici non sono in realtà aperti, ognuno si occupa del suo, mettendo confini, ognuno è convinto di fare del bene ma non si relaziona con gli altri. E’ tutto disarmonico.

D. Hai già una data di chiusura?

R. No, non ancora, è una cosa che sta avvenendo con progressività, potrà essere anche una situazione repentina, dipende da come si incastreranno le cose. I tempi però saranno ravvicinati.

D. Cosa farai da pensionato?

R. Ho tante cose da fare. Una delle cose che senz’altro avrò la necessità di fare è quella di ridare o dare un valore diverso al mio tempo mettendomi nella condizione di guardarmi intorno con maggiore lentezza. Che significa anche riappropriasi di una maggiore capacità di riflessione sulle cose, poi io sono sempre stato affascinato dagli aspetti sociali e politici di una comunità, dalle arti in generale, dalla musica soprattutto, dal teatro, per cui mi ritroverò a lavorare in un ambito, che è sempre stato il mio sogno “mettere insieme”, credo che sia sempre stata la vocazione di Libropoli quella di “mettere insieme”. Siamo stati protagonisti di una stagione molto interessante a San Giuliano, che era quella della fiera del libro, forse uno degli ultimi progetti particolarmente interessanti. Noi l’abbiamo gestita per circa tre anni con una programmazione molto ma molto fitta in collaborazione con l’amministrazione comunale e anche lì ho fatto in modo di riempirla con contenuti che aprissero, che aprissero menti, cuori, ed anche ad espressioni d’arte, a concetti di bellezza diversi. I bambini e le scuole sono stati protagonisti. Ricordo dei sabati pomeriggio nei quali siamo stati costretti, dalla grande affluenza, ad uscire dalla tensostruttura ed appropriarci della piazza. Senza troppa burocrazia, in collaborazione con i Carabinieri, i Vigili Urbani e con l’assistenza dell’allora Sindaco, Virginio Bordoni, che purtroppo ha fatto il Sindaco per troppo poco tempo, siamo riusciti nel giro di mezz’ora ad uscire dalla tenso- struttura ed abbiamo invaso una piazza intera con più di 450 bambini. Penso a queste occasioni che sono le situazioni che più mi stimolano, che più mi affascinano, ormai sono nella fase in cui detesto le cose chiuse.

D. Tu pensi che sia ancora possibili fare di queste cose?

R. Ci vuole, la politica che stimoli, che faccia da soggetto seminatore, poi ci vogliono i burocrati che la smettano di essere gli Annoiati, ci vuole dinamicità, far sì che il territorio a partire delle scuole ri-coltivi la speranza che nel fare le cose c’è anche gratificazione, accoglimento, che c’è un applauso, un sorriso ed un bravo/a per un bambino o bambina e ti assicuro che queste sono cose che non c’entrano niente con l’economia Sì, sono certo che si possano fare. Ai bambini dai un input e ribaltano tutto. Adesso abbiamo il concetto di dire, sì però, anche se, questi volgarismi, si antepongono all’obiettivo finale, “sì però” diventa l’elemento principale rispetto all’obiettivo che puoi raggiungere, per cui si ripropone la passività.

Ringrazio Sergio Farci per questa chiacchierata.

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