L’importanza della Toponomastica femminile per una società più giusta

«Noi siamo la memoria che abbiamo e la
responsabilità che ci assumiamo. Senza
memoria non esistiamo. Senza responsabilità
forse non meritiamo di esistere».
Josè Saramago

Le nostre strade e le nostre vie sono la nostra memoria. Attraverso la scelta dei nomi delle persone a cui intitoliamo le vie delle nostre città compiamo un atto politico: decidiamo chi entrerà a far parte della storia ed è degno di essere ricordato per quello che ha fatto, rappresentando la nostra eredità culturale e chi invece decidiamo di ignorare nel nostro passato. Anche attraverso la scelta dei nomi a cui sono intitolate le piazze e le strade «sveliamo quali parti della storia guidano il presente. Ma chi decide quali nomi ricordare? … E se le strade intorno a noi commemorano carnefici e tiranni, abbiamo la responsabilità civile di modificarli oppure li assumiamo come un precipitato storico cristallizzato ed immutabile?» (Deidre Mask, Le vie che orientano, Storia, identità e potere dietro i nomi delle strade).

La Toponomastica è un rilevatore sociale e denuncia meglio di ogni discorso quella che Maria Pia Ercolini, Presidente dell’associazione Toponomastica femminile, chiama «misoginia ambientale». Nelle nostre città le vie intitolate agli uomini sono in media il 40% mentre quelle intitolate alle donne vanno dal 3 al 5% e sono in grande parte sante, madonne, suore e benefattrici. Esiste una violenza sottile, molto più subdola di quella fisica o psicologica, che consiste nel rendere invisibili le creazioni e le opere delle donne, cancellandole dalla memoria collettiva. Una violenza culturale che ripercuote i suoi effetti sulle nostre e sui nostri bambini, sulle nostre e sui nostri ragazzi, che penseranno che le donne non hanno fatto nulla di memorabile al mondo, che non avranno modelli da emulare e a cui ispirarsi e la cui autostima faticherà ad affermarsi. Del resto anche sui nostri libri di scuola le donne sono quasi dimenticate. Non solo: spesso i libri sono pieni di luoghi comuni che ribadiscono una rigida divisione dei ruoli all’interno della famiglia e
perpetuano una figura di donna che si realizza soltanto se moglie e madre, diversamente dagli uomini.

La Toponomastica e l’odonomastica sono lo specchio dei rapporti di potere nella società, primo tra tutti quello tra uomini e donne. Proprio per questo a partire dal 2012 Toponomastica femminile, costituitasi in associazione dal 2014, bandisce il Concorso “Sulle vie della parità“, aperto ad ogni ordine di scuola, in cui, attraverso la scoperta di quante vie sono intitolate agli uomini e quante alle donne nelle loro città e nei loro Paesi, le ragazze e i ragazzi siano indotti a riflettere sulla disparità di genere, ad approfondire le biografie delle poche donne a cui le vie sono intitolate e ad intraprendere iniziative di cittadinanza attiva assumendosi la responsabilità di denunciare questa situazione nelle comunità in cui vivono e di intraprendere iniziative di cittadinanza attiva per fare intitolare vie e luoghi alle donne, locali, nazionali o straniere. Cambiare il nome delle vie è impensabile ma intitolare una rotonda, una biblioteca, una sala consiliare, una pista ciclabile, un’aula in una scuola è molto più facile. Delle tante attività intraprese dalla scuola in cui insegno, l’istituto Vincenzo Benini di Melegnano, vorrei ricordare qui l’opera di consulenza che è stata chiesta alla nostra scuola per intitolare un intero quartiere al femminile, il quartiere Monticello di San Donato. Il sindaco Andrea Checchi, che aveva sentito parlare dell’intitolazione della pista ciclabile che va da Melegnano a Cerro al Lambro ad Alfonsina Morini Strada, prima ed unica donna a correre il Giro d’Italia nel 1924, su iniziativa di una classe seconda del Benini, chiese a noi e ad alcune classi del Liceo Primo Levi di San Donato di suggerire nomi di donne a cui intitolare le sette vie del Quartiere. Il lavoro di due classi quarte del Benini e di varie classi del Levi fu accurato. Ne furono individuate moltissime, nel campo della storia, della scienza, della filosofia, della politica, dell’antifascismo, dello sport, dei diritti umani, della pedagogia. Non fu facile sceglierne dieci da suggerire al Consiglio comunale aperto. Per farlo le ragazze e i ragazzi si cimentarono con l’arte oratoria e di persuadere i compagni e le compagne ad accettare la loro figura di donna e a prendere decisioni democraticamente. In Consiglio comunale a San Donato fu bellissimo ascoltare questi e queste cittadine del futuro perorare la causa delle donne scelte. Alcuni problemi legati all’aera Monticello sospesero la decisione in merito ai nomi delle donne da scegliere nell’intitolazione delle vie e finalmente il 4 marzo di quest’anno, in una seduta della Giunta online, alla presenza delle docenti che avevano coordinato il lavoro e di alcune studenti, è stata approvata la delibera di intitolazione del quartiere al femminile. I nomi scelti sono stati: Rosa Parks, attivista per i diritti umani dei neri che si ribellò alla segregazione rifiutandosi di alzarsi da un sedile dell’autobus riservato ai bianchi e per questo pagò con la prigione, Gina Galeotti Bianchi, partigiana militante del Partito Comunista clandestino dalle imprese rocambolesche, condannata dal Tribunale speciale fascista, ma liberata dal Governo Badoglio, uccisa dai tedeschi i 25 aprile del 1945 mentre si stava recando a Niguarda per occuparsi dei partigiani feriti. Morì insieme al bambino di otto mesi che aveva in grembo; Nilde Iotti, Costituente e politica del Partito Comunista e Prima Presidente della Camera dei Deputati, Ipazia di Alessandria, scienziata, filosofa, matematica e astronoma greca, martire della libertà di pensiero, Ondina Valla, campionessa olimpica degli 80 metri e prima donna a ricevere una Medaglia d’oro a Berlino, Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna a laurearsi in Italia, Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, filosofa e mistica, morta a Auschwitz. Ognuna di queste donne ha lasciato un segno nella storia e insieme a moltissime altre potrà rappresentare un modello a cui ispirarsi per le nostre e i nostri ragazzi. Iniziative di cittadinanza attiva per la parità di genere come queste si possono ripetere nelle nostre scuole intitolando, come abbiamo fatto al Benini, aule a Franca Viola, Ilaria Alpi, Felicia Impastato, Lea Garofalo e molte altre. Sarà l’occasione non solo per studiare le loro biografie, ma per approfondire la storia delle nostre società, i diritti negati alle donne, la lotta per conquistarli, sia all’interno della famiglia che nelle società e per ragionare intorno al maschilismo e alla misoginia che le hanno sempre contraddistinte, per prenderne atto e per contribuire a realizzare un mondo più giusto e veramente paritario. Se vogliamo costruire una memoria condivisa ed inclusiva dobbiamo prenderci la responsabilità di impegnarci in prima persona, come ci spinge a fare l’articolo 2 della nostra Costituzione, quando parla di solidarietà politica, cioè di impegno e responsabilità, di cui la frase di Saramago in esergo è per me una splendida sintesi. In questo modo staremo combattendo la violenza culturale, che è purtroppo la premessa per i tanti femminicidi che caratterizzano le nostre società, per la violenza domestica, psicologica ed economica che in periodo di pandemia e lockdown, con la convivenza forzata nelle case, è aumentata in modo esponenziale come testimoniano le chiamate al numero verde 1522. La sensibilità su questi temi è aumentata e l’aumento delle panchine rosse simbolo della lotta alla violenza di genere sta a dimostrarlo. Ne è la riprova anche Il Codice Rosso, una legge entrata in vigore il 9 agosto 2019, con la quale sono state apportate modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

Un bellissimo documentario, presentato alle classi per un lavoro di approfondimento, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, realizzato tra gli altri da Toponomastica femminile e Snoq Lodi con il patrocino della Camera del Lavoro può essere visto a questo link.


Un altro interessante lavoro presentato alle classi, è quello sulle emigrate italiane a cui si deve l’8 marzo, un’analisi storica e politica sull’incendio che il 25 marzo 1911 si verificò alla Triangle Shirtwaist di New York e in cui perirono 146 persone tra cui 125 donne, tra cui molte italiane, tutte molto giovani.


Un modo per ragionare di sfruttamento delle donne e violenza sul lavoro.

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