Per un nuovo percorso dei cattolici nella società: 5 riferimenti



L’unità politica dei cattolici fa parte ormai della storia passata e l’insignificanza della loro presenza nella vita sociale e politica è sotto gli occhi di tutti.  Come sono distanti dall’essere raccolti e resi concreti i richiami che ogni giorno papa Francesco cerca di gridare al mondo ma verso i quali i primi ad essere sordi sembrano proprio gli stessi credenti.

Spero non sia troppo tardi per porsi qualche interrogativo di fronte a tutto questo.
Prima di tutto una premessa doverosa: ci sono cristiani che anche oggi si sacrificano per testimoniare un messaggio evangelico all’interno della vita sociale di tutti i giorni. Ma l’impressione è che tutto questo impegno faccia fatica ad uscire dai recinti in cui spesso si trovano ad operare i cattolici.
Senza correre il rischio di muoversi solo sugli argomenti dove i cattolici sembrano essere tollerati, per es. sui temi etici, ma senza neanche correre il rischio di sconfinare in un tradizionalismo populista, quello dei crocefissi e dei rosari sbandierati ai comizi politici, penso che si debba cercare un equilibrio nuovo. E per fare questo non è necessario andare a studiare manuali di teologia: la via più semplice è porsi in maniera aperta e consapevole di fronte ai problemi (quelli che affrontiamo ogni giorno). Avendo la fede non come retaggio da conservare ma come linfa a cui attingere.

Cinque parole come riferimenti in questo percorso.
La prima è sicuramente “coraggio”.
Coraggio ad essere attivamente e propositivamente presenti sulle tematiche e problemi di ogni giorno. Un esempio concreto e ultimo per tempo è l’impegno per la campagna vaccinale anti COVID, che ha visto spendersi in prima persona papa Francesco ma che ha visto il mondo cattolico parlare troppo spesso sottovoce.
Vaccinarsi non è solo una protezione verso se stessi ma anche un’attenzione ed un rispetto verso la salute degli altri, specialmente delle persone più fragili. Coraggio significa prendere posizioni su temi anche scottanti: le problematiche racchiuse nella proposta dell’on. Zan, la legge sul fine vita, l’immigrazione, il femminicidio,  i diritti delle donne. Tutti argomenti sui quali il mondo cristiano sembra spesso balbettare. Il rischio che questi argomenti dividano, non deve fermare prese di posizioni chiare e, appunto, coraggiose. Anche le recenti elezioni amministrative hanno certificato questa totale assenza di candidati cattolici (di quelli che si autodefiniscono tali per accaparrarsi solo qualche voto ne facciamo volentieri a meno), ma di un dibattito aperto anche ad una visione cristiana. Un’altra occasione persa.


Ma per avere coraggio bisogna essere convinti e preparati. Solo così si riesce a dare “testimonianza”. Ed è questa è la seconda parola. Sappiamo che per un cristiano essere testimoni oggi, in una società multiculturale, multietnica, in cui spesso i riferimenti religiosi sono relegati solo ad una sfera personale, è uno degli sforzi maggiori.
Esperienza facile quando si tratta di partecipare alle pratiche religiose nelle nostre chiese, difficile quando si tratta di prendere posizione sul lavoro, nella scuola, nella società, nella vita civile, nella politica.
Testimonianza con discernimento, cercare di capire i tempi e formulare proposte e suggerimenti, anche innovativi e  in controtendenza.
Per fare questo sono necessarie comunità attive, vivaci, capaci di rifiutare facili consuetudini per mettersi (o rimettersi) in gioco. Con in prima fila i loro pastori.


Ma la testimonianza non riesce a scardinare i modi di fare e raggiungere il suo obiettivo, se non si è capaci di fare “comunicazione”. Ed è questa la terza parola.
Viviamo nei tempi della dittatura dei social media, in cui il comunicare è diventata da mezzo a sostanza (non è importante cosa dico ma il fatto stesso che la dico), e il rischio di perdersi negli anfratti delle diverse piattaforme informatiche è dietro l’angolo.
Abbiamo i leoni da tastiera pronti a gettare fango su chi cerca di alzare la testa e pensare con il proprio cervello. Purtroppo, anche questo è un segno di tempi dove le comunità cattoliche sono in forte e forse irrimediabile ritardo.

Ma anche su questo versante si può cercare di esplorare strade nuove. Forse c’è necessità di un maggiore coordinamento: un filo comune che possa legare e accompagnare le diverse attività. E “filo comune” è anche la quarta parola.
C’è necessità di coordinare e di unire le forze, superando le barriere che spesso dividono i gruppi all’interno delle comunità ecclesiali. Non c’è bisogno di un nuovo contenitore ma è forte la necessità di raccordare le tante iniziative che si stanno facendo ma soprattutto quelle che si potrebbero fare solo se si avesse la forza di farle diventare realtà.


L’ultima parola forse quella meno declinata in questi tempi: la “Speranza”.
Saper guardare oltre con uno sguardo profetico dovrebbe essere una delle caratteristiche di un impegno cristiano nel sociale. Saper leggere l’oggi ma in funzione e con lo sguardo su un domani da costruire. Attenti all’ascolto, ma capaci di dire i propri si e i propri no, argomentandoli, ma sempre con uno sguardo aperto verso chi ci sta davanti e non la pensa come noi.
 
Il rischio dietro l’angolo è quello di farsi guidare dai falsi profeti, capaci di influenzare un mondo cattolico che oggi sembra riconoscersi  più nei segni esteriori che nei propri valori interiori.
Un rischio che non possiamo permetterci né noi cristiani ma neanche la società in cui viviamo, perché dare con coraggio la propria testimonianza può essere un contributo irrinunciabile per raggiungere quel “bene comune” contrapposto “all’interesse individuale”, di cui tutti noi, cristiani e non, abbiamo oggi più che mai bisogno.


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