Scrivere, che passione (1/4)

Scrivere è una passione, si sa. In Italia si pubblica tanto, troppo secondo alcuni, ma, come dice il Maestro del noir, Massimo Carlotto, non è vero che si scrive troppo, si legge troppo poco. Noi di Stacco, intanto abbiamo provato a fare qualche domanda a 3 scrittori ed una scrittrice esordiente, per capire cosa li abbia spinti a scrivere e non solo.

San Giuliano, periferia, città dormitorio, parte di una città metropolitana come Milano, cosa vuol dire tutto ciò da un punto di vista culturale? C’è vita, movimento, oppure la periferia, per metropolitana che sia, inibisce la vena artistica? Leggere è la mia passione e per questo motivo ho iniziato a guardarmi attorno per verificare la situazione da un punto di vista della scrittura. Leggo preferibilmente gialli/noir/thriller/mistery, giusto per usare le classificazioni correnti e in quell’ambito mi sono mossa: ho incontrato, come si fa in tempo di pandemia, 3 autori e scoperto un’ autrice, il cui libro, per continuare a classificare, ascrivo al genere fantasy, per raccontare qualcosa di loro. Ho posto alcune domande a Stefano Corbetta, Fabiola Liuzzi, Oscar Logoteta, Gino Marchitelli.

Inzio con Fabiola Liuzzi, esordiente ha pubblicato “La figlia del destino” per la Casa Editrice Montedit, la prima a rispondere alle mie domande.

M. Fabiola, da cosa parte il tuo desiderio di scrivere?

F. Si può dire che in qualche modo il mio desiderio di scrivere nasca dal desiderio di leggere. Quando ero solo alle elementari la mia maestra ideò una specie di biblioteca a punti, ci portava nella biblioteca della scuola e ci faceva scegliere ogni mese un libro tra tutti i titoli presenti. Avevamo piena libertà sulla scelta, potevamo davvero prendere ciò che volevamo. Alla fine di ogni lettura dovevamo ripercorrere la storia e i personaggi in quella che chiamavamo scheda del libro, lei le correggeva e ci metteva un timbro sul nostro patentino. Non leggevo nulla prima di allora ma da lì in poi – non ringrazierò mai abbastanza la mia maestra – mi sono così innamorata delle storie che non ho più potuto farne a meno. Io amo le storie, questo è il fulcro di tutto. Quando ne trovo una, che si tratti di un libro o un film, non riesco ad abbandonarla finché non ho scoperto come si conclude, persino se non mi piace. Con il passare del tempo però, mi trovavo sempre più a spesso a pensare a finali alternativi, alle scelte dei personaggi, a come sarebbero cambiate le cose se solo in quel preciso istante loro avessero preso un’altra strada. M’immedesimavo così tanto nei personaggi che per me diventavano reali, non pensavo a come in realtà ci fosse un’unica persona dietro tutta la storia, una persona con il potere più assoluto. È vero, il compito dello scrittore è quello di sparire nella storia, ma ho pensato: che succerebbe se fossi io a poter scegliere? Se potessi cambiare le cose, come le cambierei? È così mi sono trovata, a quindici anni, a pensare ai miei personaggi, al mio protagonista e alla mia storia. Non mi definisco una scrittrice, ho molto da imparare e ho sempre scritto per me, per il piacere di sviluppare qualcosa esattamente come io credevo che potesse andare ma poi ho pensato che solo nel condividere si trova la vera gioia e soddisfazione. Ed è stato proprio così.

M. Il tuo primo romanzo “La figlia del destino“ è uscito nel 2019, è un romanzo pieno di colpi di scena e misteri, lo hai ambientato a Sidney, come mai la scelta di un’ambientazione così lontana da noi?

F. I misteri e i colpi di scena sono molto importanti nella mia visione di una storia, se ben ponderati fanno appassionare il lettore a tal punto che non riesce più a staccarsi, deve per forza sapere cosa succede dopo. Un buon cliffhanger è fondamentale. La scelta di Sidney è stata naturale per me, non ci ho nemmeno pensato quando la storia ha preso vita nella mia testa. È sempre stata lei la città. Sidney è il mio sogno proibito da molto tempo, mi piacerebbe davvero molto poter visitare l’Australia in generale e chi mi conosce sa che uno dei miei desideri più grandi è quello di fermarmi ai piedi del teatro dell’opera di Sidney e poter dire: “Sono qui, ce l’ho fatta.” Certo non è stato facile ambientare la storia a Sidney, perché devi pensare al contrario. Devi prendere tutto quello che per noi è normale e capovolgerlo. Ho dovuto informarmi sulle stagioni, sulle temperature, sulle leggi, sulla scuola, ho dovuto viaggiare nelle stradine grazie a Google Maps… e devo ammettere che avere internet è stato fondamentale. Scoprire tutto ciò di cui hai bisogno in solo qualche secondo di ricerca, non ha prezzo!

M. So che il libro fa parte di una trilogia, l’hai già completata?

F. Sì, la trilogia è già completa. La storia di Harrynia è una storia molto intricata, di cui nel primo libro si legge solo quella che mi piace definire come una lunga introduzione ai personaggi principali. Questo primo volume risponde alla domanda nascosta nel titolo: chi è la figlia del destino? E qual è il suo destino? Spesso ci vengono presentati personaggi che vengono risucchiati in un mondo sconosciuto e ci si abituano un po’ alla volta, invece qui la narrazione prende una piega diversa. Har non ha il tempo di abituarsi al nuovo mondo, non ha il tempo di informarsi, di conoscerlo. Viene risucchiata nel vortice che rappresenta il Mondo Magico per un obbiettivo ben preciso, non ci si scontra per sbaglio. Improvvisamente si trova a confrontarsi con difficoltà che non pensava nemmeno esistessero, senza avere gli strumenti per combatterle. È in quest’ottica che vedo il primo romanzo, una sorta di presa di coscienza per lei e per le persone che decidono di starle accanto. Un percorso a ostacoli che la porterà a comprendere cosa davvero è chiamata a fare ma soprattutto, un percorso di crescita personale.

La storia di Har inizia a essere raccontata che lei è un’adolescente, in quell’età davvero molto complicata che va tra i quindici e i diciotto anni che anch’io stavo vivendo proprio in quei momenti. Il mondo è così grande e così piccolo per un adolescente che spesso non si dà il giusto peso alle cose. È un’età piena di insidie, dove non sai bene cosa vuoi farne della tua vita e molto spesso non senti nemmeno la necessità di deciderlo, mentre gli adulti tendono a sottovalutare quelli che sono i problemi che invece a quell’età sembrano giganti. Era un ottimo punto di partenza per collocare la storia di una ragazza che deve crescere per forza e che non sembra avere scelta, davanti a un destino che la chiama a raccolta. Già nel secondo, che spero di riuscire a pubblicare entro questo nuovo anno, vedremo una Har molto più matura, consapevole e una storia che entrerà nel vivo. Per culminare con il terzo e ultimo capitolo.

M. Hai già in mente tutta la storia quando inizi a scrivere?

F. Molti autori hanno dichiarato che l’idea nasce in modi particolari e alle volte del tutto curiosi. Attualmente sto lavorando su una nuova saga, anch’essa di tre volumi, di cui sono alla stesura del terzo capitolo. E devo ammettere che no, per entrambe le saghe non avevo in mente tutta la storia ma avevo ben chiaro dove volessi arrivare. In entrambi i casi l’idea è nata partendo dalla creazione del personaggio principale, sono loro che sono nate per prime. Harrynia si è sviluppata velocemente nella mia immaginazione, insieme a qualche scena. Da subito l’ho immaginata impugnare un arco e maneggiare una frusta, poi ho cominciato a vederla nel rapporto con gli altri, il suo carattere e come avrebbe potuto essere nelle situazioni di vita di tutti i giorni. Mi piaceva l’idea di parlare di un personaggio con potenzialità pressoché infinite ma che, se non allenate, non portassero a niente. Questo è un punto fondamentale anche nella mia vita: non credo ci sia niente che viene da solo, niente di innato. Ci sono talenti e predisposizioni, ci sono di certo campi in cui qualcuno riesce meglio di altri, ma senza passione, dedizione e allenamento anche il migliore fallirà. E questo è uno dei tanti messaggi che Harrynia porterà ai lettori, soprattutto nei prossimi capitoli della storia. Ci sono dei punti fondamentali ai quali devi dare una risposta prima di iniziare a scrivere: la tua storia deve avere un protagonista definito, almeno un antagonista e un obbiettivo o uno scopo da raggiungere. Una volta che hai una risposta per queste domande puoi buttarti sulla storia. Quando ho iniziato a scrivere il primo libro avevo tutti i miei punti fondamentali e sapevo già benissimo come avrei chiuso il terzo, quello che ancora non avevo ben chiaro era tutto quello che ci avrei messo in mezzo, anche perché non avevo ancora deciso quali e quante variabili avrebbe incontrato la mia protagonista. Ci sono personaggi che con la loro presenza o assenza, provocano o impediscono quelli che al lettore possono sembrare solo dettagli insignificanti ma che invece, se analizzati con attenzione, risulteranno punti cruciali. E l’autore ne deve tenere sempre conto per sviluppare una storia coerente e il più realistica possibile. La mia difficoltà a decidere molto prima le varie sfaccettature delle vicende è che molto spesso input quotidiani vanno ad accendere in me scene che non esistevano fino a qualche istante prima. È possibile che salendo le scale della metropolitana, vedendo una persona particolare, sentendo qualcuno parlare al telefono, o semplicemente guardando la pioggia dalla finestra, mi si delineino linee narrative, dialoghi o personaggi che poi farò di tutto per inserire nel racconto. Questo però fa di me una persona distratta: è possibile che se mi viene in mente qualcosa mentre qualcuno mi parla, io non recepisca nemmeno una parola, ne sa qualcosa la mia amica Giorgia!

M. Ti piacciono i personaggi seriali?

F. Amo letteralmente i personaggi seriali. Penso che un vero personaggio acquisisca la giustizia che merita solo in una serie. Sviluppare un personaggio è davvero complicato! Ma ancora più complicato è umanizzarlo. Spesso sottovalutiamo, da lettori, questa cosa. Diamo per scontato che un personaggio si comporti in maniera coerente con il suo essere senza pensare che lo scrittore ha una testa sola e si deve mettere nei panni di decine di personaggi, deve essere in grado di vedere la stessa situazione da molti punti di vista differenti. In una serie il personaggio ha il tempo di mostrare quello che è il suo vero io, il lettore o lo spettatore ha il tempo di abituarsi, conoscere e in alcuni casi prevedere quelle che saranno le sue reazioni e azioni. Ha il tempo di affezionarsi a un personaggio che, magari, all’inizio era addirittura visto come l’antieroe. Ma quello che credo sia il punto più importante è che in una serie, il personaggio ha il tempo di cambiare. Nello sviluppo classico seriale di una storia i personaggi dovrebbero sempre trovare modo di sviluppare se stessi, ci sarà sempre il personaggio che qualunque cosa succeda non cambierà mai ma proprio come lui, ci saranno anche quei personaggi che invece, segnati dalle situazioni, dalle decisioni altrui o dalle loro stesse scelte modificheranno nettamente il loro personaggio. Personalmente, adoro scrivere di questi personaggi perché sono quelli che secondo me più si avvicinano alla realtà. Tutti nella vita abbiamo subito dei cambiamenti più o meno radicali e questo ci rende umani. Leggere di un personaggio nella complessità delle sue emozioni, nella sfera globale di quelle che sono le sue caratteristiche ci avvicina a lui, ci fa identificare con lui, perché pone questioni che magari il lettore si trova o si è trovato a vivere. Per questo motivo è necessario avere tempo e spazio per svilupparli come si deve, spazio che si trova solamente all’interno di una serie.

M. Veniamo alla stretta attualità, pensi che la pandemia influenzerà il nostro modo di comunicare? Come scrittrice hai colto qualche spunto?

F. La pandemia avrà sicuramente un effetto sul modo di comunicare ma non solo a livello di narrazione nei libri. Faccio un lavoro che ha tutto a che fare con la comunicazione e da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria abbiamo visto molte aziende adeguare sia la strategia che il linguaggio dei propri messaggi pubblicitari. In più l’utilizzo forzato di tutti i mezzi di comunicazione e di internet in generale ha portato gli Italiani a una conoscenza più approfondita degli strumenti tecnologici, che prima era ridotta allo stretto necessario. Hanno preso piede o si sono sviluppate nuove forme di comunicazione e il fatto stesso che l’intero paese sia venuto veramente a conoscenza dello smart-working solamente ora dimostra come ci fosse comunque bisogno di un rinnovamento.

Questa situazione non mi ha dato spunti per le mie storie, almeno non per ciò su cui sto lavorando ora ma non escludo che in futuro possa farlo. Di certo però gli spunti che mi ha dato sono di riflessione: il contatto umano è ciò che tutti abbiamo sempre dato per scontato, nessuno ha mai messo in dubbio la possibilità di incontrarsi, condividere, vivere insieme ma questa situazione estrema ci ha posto davanti a una difficoltà che nessuno avrebbe mai creduto di dover affrontare. Non credevamo nemmeno potesse esistere una cosa simile e ora ci troviamo a dare un valore diverso a una cosa così scontata da crederla, erroneamente, banale. Quanti, quando potremo finalmente dare di nuovo il primo abbraccio, lo prolungheranno deliberatamente mentre pensano a quanto sia bello poter stringere di nuovo quella persona?

M. Cosa e soprattutto quando leggi?

F. Leggo un po’ di tutto, anche se è il fantasy il genere che preferisco. La mia libreria è un assortimento variopinto di saghe young-adult più o meno conosciute, grandi classici della letteratura italiana e straniera, storie poco conosciute o sottovalutate. Ricordo ancora quando la bibliotecaria mi regalò dei libri che avevo praticamente letto solo io ed erano su quegli scaffali da anni! Una cosa a cui proprio non riesco a resistere però sono quelle saghe, che di solito finiscono per avere un sacco di libri, dove le storie si intrecciano nel tempo, magari con le storie dei figli o dei nonni. Sono il mio tallone d’Achille. Sono una persona che ricorda molto i dettagli e i nomi di tutto ciò che legge e quindi amo andare a scoprire i racconti che ti portano a capire come si è arrivati a quel particolare che magari nessuno aveva notato. Oppure, viene menzionato l’atto eroico di un avo cent’anni prima? Per me sarà assolutamente fondamentale scoprire cosa è successo. Il mio tempo libero si divide sostanzialmente in tre cose: giocare a pallavolo, leggere e scrivere. Quando non faccio una cosa, state pur certi che ne sto facendo una delle altre due. Quando andavo a scuola o all’università era difficile concentrarsi sullo studio se nell’altra stanza c’era un libro che avevo magari lasciato su una scena cruciale. Mentre ora, con il lavoro, il mio tempo per leggere si è drasticamente ridotto quindi arrivo nei periodi festivi con cumuli di libri accantonati durante l’anno e passo praticamente le mie estati o il periodo Natalizio a recuperare. Ma in generale ogni giorno va bene per leggere. Il vero problema è che quando inizio una storia, mi è praticamente impossibile interromperla. C’è solo una saga che non ho finito ma eviterò di dire qual è per non scoraggiare eventuali lettori!

M. Ci consigli qualche libro da leggere?

F. Uhm… ci sarebbero davvero mille consigli da dare.

Una saga che sicuramente consiglio per la sua costruzione, per la modernità della storia e l’inclusione che ogni personaggio porta in un mondo che ancora oggi è davvero troppo arretrato, è Shadowhunters. Ebbene sì, al di là di qualsiasi rappresentazione cinematografica che non le rende giustizia, questa saga è ciò che assolutamente rappresenta la costruzione di un mondo letterario fatta perfettamente. Cambiando completamente genere, un libro che ho letto proprio quest’estate e che ho trovato per caso in libreria, è “Corinna, la regina dei mari” di Kathleen McGregor. Una storia che mi ha appassionata pagina dopo pagina, dove il punto più alto della narrazione sembra non arrivare mai. Protagonisti della storia più che i personaggi sono le loro personalità: la caparbietà e il coraggio di lei, l’asprezza e la scontrosità di lui. E per concludere vorrei ricordare, soprattutto ai più giovani che per un qualche assurdo motivo se lo fossero persi, quello che è il mio libro preferito: leggete “Il fu Mattia Pascal.”

Grazie a Fabiola Liuzzi, per aver risposto alle mie domande.

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