Scrivere che passione 2/4

Stefano Corbetta, scrittore, musicista, arredatore. Con “La forma del silenzio”, racconta la storia di una scomparsa. Racconta di una sorella che vuole capire, che indaga.

Proseguo nella conoscenza di autrici ed autori che vivono o lavorano a San Giuliano Milanese.

La prima puntata di questo viaggio è quella dedicata a Fabiola Liuzzi, autrice di fantasy e già pubblicata sulla nostra pagina. Mi sono chiesta cosa voglia dire vivere in periferia, se ci sia vita, movimento, oppure se la periferia, inibisca la vena artistica? Mi sono mossa nell’ambito delle mie preferenze in tema di letture e ho incontrato, come si fa in tempo di pandemia, 3 autori e scoperto un’ autrice. Quella che segue è l’intervista a Stefano Corbetta, conosciuto per le sue molteplici attività sia artistiche, sia professionali. Da scrittore ha all’attivo 3 romanzi e alcuni racconti.

E’ in libreria con „La forma del silenzio“ edito da Ponte alle Grazie.

M. Stefano, da cosa parte il tuo desiderio di scrivere?

S. Sai qual è la cosa curiosa? Ogni volta che mi viene fatta questa domanda ho la netta sensazione di non avere una risposta, o meglio, sento di dover mettere in discussione ciò che penso di aver capito riguardo questo argomento. Ed è interessante, perché in realtà dovremmo avere coscienza delle ragioni che ci spingono a fare le scelte importanti, e decidere di scrivere è una decisione molto importante, importantissima, e per tutta una serie di ragioni, non da ultimo per la quantità immane di tempo e di energie che è necessario impiegare. Quindi ogni volta devo mettermi lì e pensare, e non ti nascondo di sentirmi un po’ stupido. Alla fine devo dire di arrivare sempre alla stessa conclusione: scrivo per due ragioni distinte e opposte. La prima è che scrivere significa imparare, la seconda è che quando arrivi in fondo capisci che non basta e non ti basterà mai. La seconda annulla la prima, così la verità è che una vera ragione non c’è, se non l’atto stesso di scegliere la prima parola di ogni storia e accettare la sfida. La bellezza più irrimediabile forse non ha motivazioni, sento soltanto il bisogno di immergermi in quella bellezza e lasciare che mi porti dove solo lei sa.

M.“La forma del silenzio” è il tuo terzo romanzo, in tutti e tre, seppure in modo differente, le storie trattano anche delle forme di comunicazione. Parlare non è certamente l’unico modo di comunicare anche se, apparentemente, quello più chiaro. Cosa ti ha affascinato della Lingua dei Segni?

S. La lingua dei segni, il desiderio di conoscere cosa fosse questa lingua, è qualcosa che è venuto dopo. La scintilla è stata un’immagine che ho deciso di indagare perché capivo che stesse nascondendo un segreto. Avevo davanti agli occhi un uomo e una donna, seduti a un tavolo, che dialogavano con gesti e io sapevo di cosa stessero parlando: un bambino era scomparso e l’uomo sapeva la verità. Sono partito da lì, il resto è venuto di conseguenza.

M. Scrivi anche racconti, rispetto allo scrivere un libro che differenza c’è, se c’è?

S. La differenza, per ciò che mi riguarda, e che influenza il modo in cui scrivo, sta nella motivazione, ancora una volta. Ho sempre scritto racconti solo per il fatto che mi venisse chiesto di farlo, mai per una mia esigenza, e questo influenza anche il modo in cui costruisco la storia. Se per un romanzo mi prendo del tempo per acquisire informazioni e capire i personaggi, per un racconto invece avviene tutto in modo più istintivo. Per usare un’immagine, scrivere un romanzo significa per me entrare lentamente nell’acqua fredda, lasciando che il corpo si abitui allo sbalzo di temperatura, scrivere un racconto è come tuffarsi, scendere sul fondale e risalire prima che l’ossigeno finisca.

M. Torniamo a “La forma del silenzio” nel libro le descrizioni dei luoghi sono minime, molto più importanti le descrizioni dei luoghi dell’anima, dei sentimenti che agitano le persone, dei pensieri. Ho trovato una grande cura in questo, come procedi scrivendo? Il romanzo è molto “visivo” come se tu procedessi per immagini, perlomeno questa è la sensazione che ho avuto leggendo. È così?

S. Sì, è così, scrivo per immagini. Per riprendere la risposta precedente, durante le fasi di elaborazione della storia accumulo informazioni, visito luoghi, parlo con persone che possono darmi un punto di vista su ciò che devo raccontare, e tutto questo richiede tempo. In questo tempo la storia prende corpo intorno ad alcuni snodi che ho ben in mente e che cerco di mantenere perché penso siano irrinunciabili – devo ammettere che a volte anche questi punti sono saltati, ma questo è un altro discorso – finché a un certo punto sento di avere in mano la sequenza delle scene e allora inizio a scrivere. Gli stati d’animo dei personaggi sono una conseguenza della loro condizione e quando mi ritrovo nel mezzo di una scena, se devo raccontare un loro pensiero, mi risulta abbastanza semplice perché a quel punto li conosco molto bene e in qualche modo divento “loro”.

M. Anna è la sorella maggiore e non smette mai di esserlo, ad un certo punto della storia, indagherà sulla scomparsa di Leo, suo fratello, perché non può fare altrimenti. Conoscere la verità diventa necessario per la sua crescita come donna, pensi che le sorelle, le donne in generale, abbiano un modo diverso di affrontare una perdita e mi spingo oltre, di cercare la verità quando questa perdita è inspiegabile?

S. Anna è diventata una donna la cui identità è stata in parte rapita, scomparsa insieme a suo fratello. Ritrovare lui significa ritornare in possesso di sé in pienezza, e questa idea si fa largo in lei lentamente, provocandole disorientamento, sconcerto. Forse Anna non è quella che pensava di essere ed è per questo che nel momento in cui si mette sulle tracce di suo fratello per lei diventa essenziale conservare la parte di sé che rimane ancora intatta. Ti dirò, i miei romanzi sono sempre narrati da un punto di vista femminile, o quando non lo sono esplicitamente, la figura femminile “risolve” la storia, nel senso che conduce a termine la trasformazione del protagonista. Se penso alla mia esperienza, le figure femminili sono state quelle che hanno sempre testimoniato la più grande forza d’animo, la maggiore capacità di reggere l’urto del dolore. Forse è per questo che per me sono tanto importanti e tendo a immedesimarmi in loro.

M. Veniamo alla stretta attualità, pensi che la pandemia influenzerà il nostro modo di comunicare? Come scrittore hai colto qualche spunto?

S. Lo ha già fatto, ci siamo dentro in pieno. Siamo più isolati, abbiamo perso il contatto con i corpi degli altri, comunichiamo a distanza attraverso i cellulari e i computer, la parola diventa l’antidoto alla nostra solitudine e nel tentativo di renderci accessibili attraverso di essa, ne comprendiamo il limite. Siamo radicalmente di fronte a noi stessi e questo è un bene, se troveremo il modo per sopravviverci.

M. Cosa legge Stefano Corbetta?

S. Devo ammettere di non leggere moltissimo, ho una lettura molto lenta, analitica, che mi rallenta tantissimo. Sono sempre alle prese con le riletture, che sono il modo più efficace di imparare, e in questo senso mi riferisco soprattutto ai classici, Dostoevskij, Steinbeck, Camus, Fitzgerald, Yates. Poi cerco di seguire la narrativa contemporanea, soprattutto quella americana, senza dimenticare la saggistica, che è fondamentale per alimentare l’immaginazione. In questo momento sto riscoprendo Starnone, che adoro per la sua voce inconfondibile e così elegante.

Ringrazio Stefano Corbetta per aver risposto alle mie domande.

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