Scrivere, che passione 3/4

Gino Marchitelli è un eclettico autore che spazia dal noir al libro per bambini, non disdegna le canzoni ed è sempre attivo con mille progetti

Il terzo incontro è quello dedicato a Gino Marchitelli, il suo libro “Panico a Milano” RedDuck ed, a distanza di un paio di mesi dall’uscita è ancora molto richiesto. Nelle puntate precedenti ho chiacchierato con Fabiola Liuzzi, per ho proseguire con il secondo pezzo chiacchierando con Stefano Corbetta.

M. Gino, quanti libri hai scritto fino ad ora?

G. Con quest’ultima uscita sono arrivato a 15 opere: 14 libri e la realizzazione di un DVD indipendenti.

M. Sei uscito con “Panico a Milano” con un altro personaggio seriale, il prof. Moreno Palermo. Cosa ti affascina nella serialità?

G. Nella serialità, che contraddistingue il lavoro di un numero considerevole di autori e autrici, mi affascina la possibilità di costruire un percorso di relazione continuativa tra me, le lettrici e i lettori, e il o la protagonista. Credo che realizzare diverse “puntate” della storia di un personaggio dia la possibilità all’autore di rappresentare tanti aspetti della vita quotidiana, delle emozioni, delle tribolazioni, dell’intimità dei personaggi che in un solo volume non potrebbero essere espresse completamente perché spesso sono gli accadimenti della vita che ci mettono di fronte alle nostre consapevolezze, fragilità e cambiamenti. Anche i personaggi vivendo in questo modo vanno seguiti nei loro cambiamenti. Per questo motivo ritengo che la sequenza di più storie con personaggi seriali riesca a trasmettere ai lettori la complessità delle figure consentendo all’autore di scavare in quegli aspetti delle personalità che con una singola storia potrebbero risultare riduttivi o raccontati in modo più superficiale.

M. Ti muovi prevalentemente nel genere giallo/noir, però hai scritto anche altro “Campi Fascisti” p.es. e ti sei spinto fino al libro per bambini, come cambia la scrittura rispetto ai generi?

G. Ovviamente in quelli per i bambini (a proposito vi annuncio che entro il prossimo anno dovrei consegnare all’editore la seconda avventura dei topolini Ben & Tondo) cambia il linguaggio e si deve modificare il modo di presentare le emozioni rendendole fruibili ai bimbi ma, a mio parere, bisogna essere meno espliciti che nei romanzi per adulti e lasciare ai bambini la possibilità di costruirsi il mondo “fantastico” in cui la storia li precipita. Non a caso ho realizzato anche le canzoni legate al libro “Ben, Tondo & gatto Peppone” che servono, negli incontri con le scuole – quando ahimè si potevano fare – ad aumentare l’empatia e l’emozione degli alunni portandoli a riflettere sul contenuto intrinseco dei messaggi culturali senza spingere e/o direzionare le loro menti. Devono arrivarci da soli, ognuno con il proprio portato emotivo legato alla propria cultura, famiglia e ambiente in cui vive. Sulle ricerche storiche, come Campi Fascisti, la modalità di scrittura è più nozionistica-giornalistica perché non è consentita alcuna fantasia o “deviazione” all’autore ma l’analitica rappresentazione, documentata e con fonti certe, della verità dei fatti che hanno profondamente segnato la Storia della nostra Repubblica. Ma non rinuncio al mio modo di scrivere nemmeno nelle ricerche, ovvero utilizzando un linguaggio semplice che consenta alle storie di arrivare ai lettori senza fronzoli o manipolazioni. La verità nuda e cruda che è la base fondamentale della nostra Costituzione e che contiene le parole d’ordine necessarie ad una democrazia onesta e pluralista che metta al centro il valore fondamentale della Libertà. E i modi con cui le parole vengono scritte nero su bianco sulle pagine dagli autori sono fondamentali.

M. Pubblichi con editori importanti, ma non disdegni il crowdfunding, cosa mi dici della tua esperienza a questo proposito? Che tipo di rapporto ti lega con i lettori/finanziatori?

G. In Italia non c’è l’abitudine né la vocazione a considerare importanti i lavori indipendenti. Paghiamo una arretratezza culturale a volte davvero imbarazzante. Io non sono, per esempio, un amante del modo di vivere degli americani e del loro sistema sociale basato, in generale, sulla competizione senza limiti ma bisogna dire una cosa: nonostante la concorrenza e la corsa ad “emergere” negli Stati Uniti c’è la reale possibilità di poter presentare alla gente un proprio progetto personale e indipendente e chiedere sostegno e co-produzione alle persone attraverso la rete per realizzarlo. Gli esempi sono migliaia, è la pubblicizzazione democratica delle proprie idee artistiche o lavorative. La rete ha aperto, con tutti i suoi limiti, spazi e possibilità di contatto tra le persone davvero impensabili fino a poco più di un decennio fa. Nel nostro Paese le dinamiche economiche di potere rispetto ai progetti individuali, soprattutto artistici, sono micidiali e rappresentano una vera e propria trappola. Una palude nella quale qualsiasi artista – se tenta di fare qualcosa di suo senza avere legami con il business musicale, editoriale, giornalistico e culturale – viene fatto precipitare e fatto affogare. La dinamica economica in questi campi ha anche un altro grave limite, in Italia, ed è quello della “considerazione statica”, ovvero la mancanza di considerazione per quegli artisti che NON siano già conosciuti, affermati o sponsorizzati. Se andiamo a vedere, riferendoci al campo letterario per esempio, la stragrande maggioranza degli autori e autrici di grande successo hanno tutte/tutti un “precedente”: sono stati magistrati, avvocati, calciatori, giornalisti, personaggi pubblici e dello spettacolo di successo oppure di momenti particolari della Storia del nostro Paese ma soprattutto già affermati e conosciuti. Non tutti ovviamente ma moltissimi.

Come può una persona di talento riuscire non dico ad emergere ma spesso anche solo a far leggere un proprio manoscritto quando i lavori non vengono presi nemmeno in considerazione, oppure giacciono mesi e mesi su scrivanie impolverate, mai aperti e poi scartati facendo pulizia negli uffici? A mio parere il desiderio e l’intrigo dello scoprire talenti nell’editoria è quasi scomparso, si preferisce la via facile: quel giornalista è conosciuto, è uomo di spettacolo, va in televisione e allora via alla stampa di decine e decine di migliaia di copie di testi che spesso sono aberranti o peggio anti costituzionali e anti democratici. Prendiamo Bruno Vespa, come si fa a far pubblicare così tante falsità per ri-sdoganare il fascismo a un personaggio del genere che occorre ricordare fu autore di una delle più vergognose interviste e dichiarazioni sulla morte di Pinelli nel 1969? Allora ben venga la possibilità di proporre alla gente un tuo progetto personale e chiedere di esserti al fianco nello sviluppo, finanziamento e produzione. La realizzazione di lavori liberi da condizionamenti e dalle catene della business machine è un elemento di grande importanza che sta riuscendo a far breccia nel nostro sistema culturale che ha troppi e pesanti tratti di ottusità. Io ho seguito e sostenuto con grande partecipazione e interesse alcuni pionieri del crowdfunding nel nostro Paese: dai Gang a Daniele Biacchessi, dagli Yo Yo Mundi a Beppe Giampà, a Giò Bressanelli e ho scoperto un mondo, quello del sostegno collettivo dal basso che precedentemente era solo ad appannaggio dei sistemi di solidarietà sociale ma non allargato alle arti. Nel tempo ho costruito rapporti di fidelizzazione e anche profonda amicizia con molti miei sostenitori e sostenitrici, siamo andati oltre il rapporto autore-finanziatore e siamo giunti alla “condivisione” dei progetti da me proposti portandomi a mettere un impegno fortissimo per realizzare lavori che diano risposta positiva alla fiducia che mi è stata concessa. E’ ovvio che, nel mio caso, vorrei essere pubblicato e diffuso da editori importanti che riescano a far conoscere il mio lavoro ovunque così come faccio con i quattro editori con i quali collaboro, Jaca Book e Fratelli Frilli Editori in particolare, ma ci sono dei momenti in cui certi lavori, certe opere e certi progetti DEVONO uscire e basta. Non si può attendere. A maggior ragione se il sistema editoriale si muove lentamente come un pachiderma e soprattutto NON da risposte. Agli autori e autrici, sia nel bene che nel male, bisogna rispondere e dare dignità all’enorme sacrificio che comporta scrivere. Non importa se devi dire che quel lavoro “non interessa” ma devi esprimere il giusto “rispetto” al lavoro di tutti, come io rispetto l’editore, l’editore deve rispettare me. Punto. E’ chiaro che sto facendo un discorso generico, che le variabili sono tante e vanno analizzate una ad una ma la sostanza è che se una persona crede fortemente in un progetto, lo sottopone al giudizio preventivo della gente e ottiene il sostegno e la fiducia, deve poi essere conseguente e dare il meglio di sé per ricompensare i suoi sostenitori. Io ne ho realizzati cinque, tutti portati a compimento con ottime risposte e superando sempre l’obiettivo che mi ero riproposto e i sostenitori hanno ricevuto lavori importanti che hanno apprezzato pubblicamente. La linea dell’indipendenza non la lascio di sicuro. Sempre pronto al lavoro, alle regole e alla collaborazione con gli editori, ma la mia libertà non è in vendita.

M. In riferimento ai tuoi personaggi seriali, ne hai uno preferito?

G. Sicuramente il commissario Lorenzi è un po’ il mio preferito, sia perché è stato quello che mi ha lanciato sia perché mi ha fatto ritrovare i legami con il mio passato, con la parte della mia vita vissuta a Lambrate dove sono nato e cresciuto dal 1959 al 1979. Mi ha fatto ritrovare i fili con la mia infanzia, con la mia adolescenza, con un mondo che non esiste più dove ho imparato anche a vivere ed assimilare le storie e le lotte dei movimenti per il cambiamento della società. Dall’oratorio alla strada, dall’università al Leoncavallo. Storia irripetibile. Poi mi ispira molto Totò Maraldo che spero di riproporre al pubblico con la Fratelli Frilli e mi intriga il nuovo personaggio a cui sto lavorando, il travagliato poliziotto di origini Pugliesi, Tony Siccardi, che opererà tra Carovigno e Ostuni (BR), che dovrebbe arrivare entro un tempo ragionevole, spero, alla conoscenza delle lettrici e lettori.

M. Veniamo alla stretta attualità, pensi che la pandemia influenzerà il nostro modo di comunicare? Come scrittore hai colto qualche spunto?

G. E’ difficile riassumere in poche righe quanto profondamente il Covid abbia cambiato e cambierà il nostro modo di vivere e le nostre abitudini. Diciamo che rappresenta una vera e propria rivoluzione sociale: ci ha messo davanti tutta la fragilità del nostro sistema sociale, economico e sanitario. Al momento rappresenta anche la distruzione delle relazioni sociali e personali dirette, di persona, e questo è un danno enorme che avrà bisogno di molto tempo per cicatrizzarsi e riportarci a qualcosa di simile a quello che eravamo “prima”. Gli strumenti comunicativi di massa, i cosiddetti social, stanno sicuramente svolgendo un ruolo importante – per chi li sa utilizzare bene e in modo corretto – perché ci consentono di non sentirci “soli”, in qualche modo hanno fatto in modo di mantenere vive e aperte le relazioni e le comunicazioni sociali e culturali, oltre che informative. Allo stesso tempo sono diventati anche un terribile e vergognoso veicolo di bugie, falsità e violenza. In questo mondo semi virtuale mancano regole chiare e controlli democratici corretti sui linguaggi e sulle fonti. Il nostro modo tradizionale di comunicare risente in modo pesante dello sbandamento causato dall’enorme mole di informazioni false non controllate e non filtrate [non in senso di censura del potere ma di affidabilità]. Ci sono troppi deficienti che in condizioni normali non avrebbero mai avuto il coraggio di dire le cretinate che la tastiera, il nascondersi dietro a uno schermo e il semi anonimato, hanno loro concesso. Questa presenza di bugiardi, falsi, ipocriti, negazionisti, fascisti e veri e propri cretini sono funzionali a ridurre e spezzare la grande portata rivoluzionaria che il web avrebbe dovuto essere, scavalcando le narrazioni del potere costituito. Come scrittore sto lavorando alla raccolta di testimonianze di chi ha avuto a che fare direttamente o indirettamente con il Covid perché credo sia necessario costruire documentazioni libere, testimonianze vere e dal basso, per avere poi dei documenti che non potranno essere oscurati dalla narrazione falsa che il potere scriverà anche su questa terribile vicenda. Ho già pensato al titolo “La Resistenza invisibile” e ho già raccolto una trentina di testi ma voglio darmi il giusto tempo per riflettere e far sedimentare l’emozione per raccogliere qualcosa di importante e inconfutabile da consegnare a noi ma soprattutto a chi verrà dopo di noi.

M. Cosa stai leggendo?

G. Ho letto molto fino a un mese e mezzo fa (l’intervista è stata fatta alcuni mesi fa, n.d.R.), adesso ho lì diversi libri da leggere ma sono fermo anche per via della forte promozione e lavoro di raccolta ordini e spedizioni del mio ultimo libro. Pensa che Panico a Milano ha esaurito la prima tiratura in meno di 14 giorni dall’uscita e il 14 dicembre 2020 è arrivata la prima ristampa. Una risposta incredibile e impensabile per me anche se già dall’uscita del romanzo “L’Assenza” a fine 2019 e “Campi Fascisti – una vergogna italiana” ad aprile 2020, con tre ristampe in sei mesi, si era capito che stava cambiando e accadendo qualcosa di importante nel seguito ai miei lavori. Ho pronti sul comodino da leggere, a breve, l’ultimo di Bruno Morchio (“Voci nel silenzio. Dalla quarantena, Bacci Pagano e gli spettri del passato” n.d.R.), il nuovo di Fabrizio Borgio (“Panni sporchi per Martinengo” n.d.R.), “L’ora buca” di Valerio Varesi e “Un amore” di Dino Buzzati. Poi riprenderò la lettura dei nordici e sono incuriosito da Ilaria Tuti… tutte storie da assaporare mentre sarò ultra preso con tutti i miei nuovi progetti.

Grazie a Gino Marchitelli per aver riposto alle mie domande.

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